Quel voto di Sgarbi

L’altro giorno Vittorio Sgarbi, nel dibattito alla Camera sulla fiducia al nuovo Governo, ha preso la parola “in dissenso dal Gruppo di appartenenza” (Forza Italia) e ha votato la fiducia.

No, Sgarbi non si è certamente convertito. Nemmeno con la sua più brillante oratoria riuscirebbe a convincermi di essere diventato uno zotico appartenente al partito degli ignoranti, dell’antipolitica e dall’anticultura.

Chi ha una pur minima conoscenza dei regolamenti parlamentari, sa che prendere la parola per dichiarazioni di voto oltre il designato del Gruppo di appartenenza, è consentito solo a chi si dissocia dal voto annunziato da questo. E’ un altro degli aspetti per cui la Camera, più che “dei Deputati” è la “Camera dei Gruppi”. Una involuzione alla quale si vorrebbe dare definitiva sanzione con il “mandato imperativo”, con l’”espulsione” dei parlamentari “disubbidienti”. Un dissenso di Sgarbi dalle posizioni di Forza Italia non è, del resto, solo un “espediente” per avere la parola. Direi piuttosto che Sgarbi è la dimostrazione della imbecillità del “mandato imperativo”.

E anche, cosa ancor più ovvia, del ricorso all’idea del “partito dei moderati” con il quale Berlusconi manifesta il suo opaco tramonto. Sgarbi ha detto, con il suo solito brillante ricorso ai paradossi più violentemente provocatorii, che questo Governo non è, intanto, il “governo Conte”, perché Conte non conta un cavolo. Secondo lui (credo con qualche forzatura strumentale rispetto alle sue convinzioni) questo è il governo di Matteo Salvini (cosa, in sé, da non essere più apprezzabile per il culto della ragione e del bello di Vittorio!).

Il quale Salvini avrebbe “messo sotto i Cinque Stelle” per incarico di Berlusconi (e questo scommetterei la testa, anche per Sgarbi, è una provocazione un pochetto grossolana). Salvini sarebbe riuscito dove non sono riusciti quelli del Partito Democratico, facendo di Luigi Di Maio l’Angelino Alfano di oggi. Un misto di constatazioni acute e brillanti e di provocazioni rispondenti più alla personalità che i media frettolosamente attribuiscono a Vittorio, che alla sua percezione “letteraria” e culturale della realtà politica.

Ma, in buona sostanza, il discorso di Sgarbi è stato in sé valido, perché è riuscito benissimo a dire che peggio di così il Governo non potrebbe essere e che meglio di quel che è non può e non potrà dimostrarsi. Una provocazione. Ce n’era bisogno, anche se alla Camera il discorso dell’esponente di Forza Italia, Francesco Sisto, è stato indubbiamente meno piatto e, a tratti, dai toni più forti che non quelli che avevano inteso da esponenti “azzurri” al Senato (è riuscito a parlar chiaro anche sulla Giustizia!).

Tuttavia, quel che possa essere il giudizio “estetico” sulla provocazione di Vittorio, sul modo inusitato di manifestare il suo schifo (me lo permetta!!) per questa melma di incultura e di barbarie che con Salvini e Di Maio, Lega e Cinque Stelle, aleggia oramai prepotente nella stanza del potere, il gesto politico del deputato Vittorio Sgarbi non mi convince e mi preoccupa. Se siamo ridotti a un’opposizione “estetica”, all’ironia, anche la provocazione ha il sapore di qualcosa che proprio da Sgarbi non vogliamo attenderci: la disperazione o, almeno, la rassegnazione. Da Sgarbi è inutile (e ingiusto) attendersi atteggiamenti e responsabilità di militanza. Dobbiamo essergli grati per il suo culto della ragione, dello spirito, del bello. Ma in questo momento in cui lo sbandamento degli spiriti liberi è preoccupante, anche certe provocazioni sono un po’ lo scherzare col fuoco.

Da Sgarbi deputato (che fu l’unico a votare, con coscienza profetica, contro l’abolizione della necessità dell’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari, atto di viltà sciagurato che spalancò le porte all’irruzione persecutoria del Partito dei Magistrati) vogliamo e dobbiamo attenderci altro. In questo momento altro da ciascuno di noi è dovuto.

Aggiornato il 08 giugno 2018 alle ore 15:56