Ferrara: le scelte dell’essere e del fare

L’altro giorno Giuliano Ferrara su “Il Foglio” ha scritto un articolo, degno di figurare tra i migliori e più incisivi della sua professione-missione culturale e politica. Un articolo sui primi giudizi sul Governo giallo-verde, su certe tendenze di quelli che io avevo chiamato, scrivendo su analogo argomento “Quelli che vogliono sperare”.

Ferrara, è uno spirito libero, una mente acuta, simpatico anche quando prende certi dirizzoni con i quali, talvolta sembra travolgere quegli stessi edifici del pensiero e della ragione che contribuisce così validamente e significativamente a creare. Credo di avere faticato molto a perdonargli il suo “dirizzone pro Renzi e riforma costituzionale”. Ma il suo “essere Ferrara” si impone sempre ed impone di perdonargli spigolosità ed errori. E l’articolo dell’altro giorno sui giudizi d’anteprima sul Governo era, appunto, sull’“essere” e sul “fare” e, soprattutto sulla speranza, l’attesa di una “fase qualificante” del governo.

Un articolo indignato. Un’indignazione di cui si sente la necessità tra tante manifestazioni di ipocrita rassegnazione, di virtuosismi dell’”adattamento”. A quelli che, di fronte allo scempio del “Governo della barbarie” (penso al “Verno della barbarie” della chiesa di Pollenza di Carducci) dicono che sì, però bisognerà vedere che cosa “questi qua” riusciranno a fare, cosa produrranno su questo e su quello, un Ferrara felicemente incazzato risponde che su questo e su quello i governi precedenti hanno già fatto, quasi sempre, quello che i barbari, nella migliore delle ipotesi, riusciranno a fare, si “spera” che ci riescano. Sono spesso le stesse cose, che Lui, il suo “Foglio” (Claudio Cerasa a parte) hanno sostenuto. Che la civiltà dei liberali, dei socialisti, di “quelli di prima” hanno sostenuto e realizzato. Ma sono stati demonizzati, combattuti e battuti per il loro “essere”. Essere “del passato”, essere “del sistema”. Essere “pensanti e civili”. Essere Silvio Berlusconi.

Potranno non condividersi molte proposizioni di questo articolo (e del pensiero di Ferrara) ma questa considerazione sull’essere e sul fare, non è priva di un fondamento ineludibile di verità. I partiti, quelli veri, quelli che veramente esprimono “una parte” del Paese sono espressione dell’“essere” di tutti noi, un “essere” che non si esaurisce mai in singole operazioni, in singole realizzazioni.

Il partito di cui profeticamente (con la profezia di chi guarda bene dentro il presente) scriveva Leonardo Sciascia, il partito dei cretini, potenzialmente maggioritario, potrà “fare qualcosa di buono”. Non per questo cessa di essere il partito dei cretini. Come tale pericoloso sempre e sempre capace di spargere il veleno della sua sciagurata cretineria in quanto di buono possa essere “costretto” a fare. La rozzezza, la supponenza, il ragionare sragionando lasciano la loro impronta ovunque: nel bene e nel male. E ovunque spargono il seme del peggio per il futuro.

 

 

Aggiornato il 13 giugno 2018 alle ore 19:19