Evviva la Mitteleuropa

L’Austria-Ungheria? È tornata. Le ceneri del Trattato di Vienna, quindi, non si sono mai davvero spente nelle menti e nei cuori di chi, più di un secolo fa, faceva ancora parte di quel blocco storico socioeconomico, politico, militare e culturale conosciuto come Mitteleuropa. Lentamente, oggi quel percorso dagli esiti così devastanti si sta silenziosamente e progressivamente riaggregando, attraverso il diaframma sottile degli Stati nazionali nati dopo l’implosione dell’Impero austroungarico, controbilanciato dalla parallela rinascita del sultanato turco. Visegrad e l’attuale Austria sono i suoi Stati-sherpa, mentre sul versante italiano tendono a riannodare le fila di un discorso lacerato anche la macroregione lombardo-veneta e le aree cuscinetto confinanti di lingua tedesca. Di recente, anche la destra bavarese, determinante nel quarto Governo Merkel, sembra seguire questa strada. Il legante del tutto? La diga del fronte comune contro l’immigrazione di origine centro africana che, avendo saltato a piè pari la modernità ed essendo frutto di un nuovo, terribile schiavismo di poteri criminali e non solo, è del tutto aliena dai grandi eventi migratori inter-europei e inter-occidentali del secolo scorso e dalle sue comuni radici cristiane. È indubbio che l’Onu abbia grandissime responsabilità epocali in merito.

Sospinta da una élite di matrice foucaultiana, la dirigenza delle Nazioni Unite si è plasmata sulle teorie mainstream che privilegiano i bisogni dei rifugiati e degli immigrati (si parla di movimenti globali di sessanta milioni di esseri umani), sostenendo il meticciato universale, ma senza mai puntare a recidere le radici della malapianta che dà origine e favorisce quelle possenti migrazioni. Sto parlando del suo mancato ruolo di polizia internazionale (quello, per capirci, che si è attivato prima con l’Iraq quando invase il Kuwait, poi con la Libia di Gheddafi) per mettere ordine nei conflitti scellerati che devastano tutta l’Africa centrale, riportando pace e benessere con grandi operazioni di ricostruzione di un Continente Nero che, ricordiamolo, è il più ricco del mondo e offrirebbe infinite opportunità di sviluppo sostenibile ed ecocompatibile a tutti i suoi abitanti. Per esempio, visto che molte delle élite africane non hanno fatto altro che depredare, opprimere e massacrare i propri popoli, basterebbe confiscare loro tutti gli immensi patrimoni sottratti allo sviluppo dei propri territori e nascosti poi nelle banche occidentali e nei paradisi fiscali.

Una volta allontanati dal potere i veri responsabili di questo disastro migratorio, con quei denari confiscati si potrebbe finanziare una prima ricostruzione dei Paesi che più hanno sofferto della malagestione e delle dittature militari di milizie e tribù che hanno investito in armi tutto quello che potevano. Sul piano interno della politica italiana, poi, l’immigrazione illegale e la sua pessima gestione di questi ultimi quindici anni hanno dato luogo alla sotterranea ma potente ricerca dell’uomo forte, un kingmaker che afferrasse il toro per le corna e lo riportasse alla ragione.

Matteo Salvini ha colto questa occasione unica e ha messo l’armatura di Giussano per vincere un drago sfiatato: l’ipocrisia di un’Europa germanizzata e schiava delle condotte deresponsabilizzanti di Bruxelles che annegano il decisionismo nella palude delle soluzioni condivise. L’accerchiamento, com’è noto, non lo si rompe con le rose nei cannoni, e Salvini quindi li ha caricati a palle incatenate. In realtà, si è preso la briga di realizzare ciò che la nuova Mitteleuropa pensa ma non dice: attuare un serio blocco navale che, in primis, tuteli chi rischia di annegare a prescindere dal suo potenziale stato di profugo o di asilante, ma che poi riconduca le persone soccorse in aree protette extraeuropee, confortevoli e ben attrezzate, sotto il controllo delle Agenzie umanitarie (Unhcr, Oim) dell’Onu.

Aggiornato il 14 giugno 2018 alle ore 12:31