Migranti: ognuno con i peggiori argomenti

Forse è significativo che a rompersi le corna fra loro partiti di Governo e (per quel che ne resta) di opposizione, hanno subito trovato “materia del contendere” nella questione dei “migranti”. Cioè proprio in quella nella quale errori e cose giuste, necessità e balordaggini sono in massima parte dipendenti direttamente dagli altri, dall’Europa e dall’Onu, da francesi e tedeschi. Litighiamo fra noi non tanto e non solo sulla pelle degli altri, ma su responsabilità altrui. Perché le nostre, quelle dei nostri governanti o aspiranti o ex tali non ne sono state che il riflesso, relativo a e quel tanto che si può e si dovrebbe fare per non doverne noi pagare lo scotto.

E poiché il dibattito politico sembra svolgersi come una gara a chi usa argomenti più infondati o usa male quelli buoni, si potrebbe dire che, paradossalmente, importiamo immigrati ed esportiamo cavolate. La questione dei migranti, di questa ondata che assume dimensioni ed aspetti di vera e propria invasione, ha radici lontane. È l’effetto di una decolonizzazione dell’Africa e del Vicino e Lontano Oriente realizzata nel peggiore dei modi. E sulla guerra fredda, combattuta “a caldo” in Africa e nel Medio Oriente. Cui si è aggiunta l’improvvisa ricchezza di alcuni popoli per la fonte del petrolio, che ha fatto scatenare la violenza di improvvisate classi dominanti in paesi poverissimi, in cui fomentare guerre, più o meno “sante”, distruzioni, stermini è diventato lo strumento per meglio impadronirsi del reddito del petrolio. La jihad musulmana è un comodo sistema per gli sceicchi “petroliferi” per indirizzare verso altri obiettivi la povertà, la fame, la rabbia delle loro plebi.

C’è poi la dissennata opposizione della Chiesa Cattolica a qualsiasi progetto dell’Onu e di altre organizzazioni internazionali a qualsiasi pianificazione e limitazione delle nascite che avrebbe potuto contenere il boom demografico con le sue tragiche conseguenze. È questa della responsabilità della Chiesa Cattolica (meglio parlare di corresponsabilità) alle origini della tragedia che fa sì che sulla questione dei migranti proprio l’atteggiamento della Chiesa, e di Papa Francesco in particolare, siano da considerare per prima e per primo le assurdità in essa implicite.

Oggi si è cominciato, stentatamente, a distinguere tra salvataggio ed assistenza ai naufraghi e loro sistemazione con il grottesco ruolo di “clandestini” come tali “in carico” ai governi dei paesi in cui magari poco “clandestinamente” si stabiliscono. Questa assurdità di una clandestinità assistita e regolata (si fa per dire) è, in buona sostanza la tesi della Chiesa, del Papa. “Accoglienza” non è il ripescaggio in mare di poveri naufraghi. E neppure il loro sbarco dalle navi che provvedono a salvarli. “Accoglienza” significa la concessione della facoltà di stabilirsi, di abitare, lavorare, vivere la grottesca clandestinità. Le parole hanno un senso. Altrimenti chi le pronuncia è un cialtrone, quale che sia il suo carisma religioso o politico.

Quando, di fronte alle proteste e ai semplici ragionamenti allarmati circa l’esuberanza di questi strani “clandestini” e circa i limiti necessari alla loro “accoglienza”, si ricorre ad argomenti come il dovere di salvare in mare chi sta affogando, chi a tali argomenti ricorre è un cialtrone. Pericoloso. Perché è pericoloso in una questione così complessa, regolarsi e pretendere che gli altri si regolino in base a falsi sentimenti, ad argomenti relativi ad altro. Altra cosa è il salvataggio in mare dei naufraghi, altro il loro grottesco “Ius clandestinitatis” nel luogo in cui vengono sbarcati. Certo, c’è poi la correlazione tra le due diverse questioni, soprattutto se la confusione che se ne fa diventa sistematica.

Se i “naufraghi”, non sono dei poveracci che, per disperazione si sono affidati al primo “scafista” che hanno incontrato che ha permesso loro di sbarcarli in Italia (mi capitò, in Sicilia, dopo lo sbarco di africani arrivati su una barcaccia, di essere quasi testimone oculare del loro vagare alla ricerca della “stazione centrale”. Credevano di essere a Milano!) ma se sono indotti a imbarcarsi “per naufragare” a un appuntamento con una nave di una Organizzazione non Governativa che li scarica poi in Italia, il discorso è diverso. Parlare di “naufraghi” sa già più di truffa che di dovere umanitario. Si attiva un circolo vizioso. Più facile e più automatica sarà la cosiddetta “accoglienza”, il percorso “gommone, falso naufragio, nave di chi sa quale paese, sbarco in Italia, status di clandestino”, inamovibili e più saranno i clienti degli scafisti, quelli che, poi, magari saranno fatti diventare naufraghi autentici al minimo incaglio di questa catena di montaggio.

Quando ancora a nessuno passava per la testa il fenomeno di questa emigrazione di massa, Ernesto Rossi, per dimostrare gli effetti perversi di certi interventi caricativi, raccontava la storia di Sant’Eligio. Questo era un mite fraticello credo marchigiano, che informato del fatto che al di là dell’Adriatico si praticasse ancora la schiavitù, si dedicò al riscatto di quei poveri schiavi. Mendicava avanti a tutte le chiese in ogni occasione, presso ricchi e poveri, per raggranellare il denaro necessario per liberare gli schiavi là davanti, in quella che si chiamava appunto la Schiavonia. E partiva con fragili imbarcazioni e “comprava” schiavi da emancipare.

Solo che la schiavitù oramai stava scomparendo anche nella Schiavonia, sostituita, magari da altre poco più umane istituzioni. A ravvivare il mercato degli schiavi, la schiavitù e l’assoggettamento alla schiavitù di nuovi esseri umani, provvide peraltro l’opera di Sant’Eligio, divenuta di dimensioni assai grandi. Poiché c’era chi comprava gli schiavi per affrancarli, gli schiavisti ripresero a schiavizzare e mettere sul mercato altra “merce”. Sant’Eligio realizzò il risultato, sottolineava Ernesto Rossi, di prolungare in Dalmazia l’istituto della schiavitù. Quanto più si perfezionerà il sistema di soccorso di “naufraghi” o presunti tali, tanto più aumenterà il numero di quelli che batteranno la via del mare, con i gommoni e con gli scafisti per passare in Europa. E tante più saranno le persone da salvare ed anche quelle che ci rimetteranno la vita. Paradossalmente il maggior impegno per i salvataggi comporta, oltre ad un maggior numero di “aventi diritto alla clandestinità” anche il numero dei morti in mare. Di quelli che non si riuscirà a “ripescare”.

Detto questo e quale che sia la logica perversa di questo giuoco (e di conseguente sfruttamento) delle vite umane, resta il fatto che Salvini è intervenuto da par suo, facendo leva sugli aspetti meno nobili della questione ed opponendo all’ipocrisia di preti ed uomini di Sinistra, più che le sue (e le nostre) ragioni, il suo stile, la sua rozzezza e grossolanità. Per ora gli giova. Fino a quando?

Aggiornato il 21 giugno 2018 alle ore 11:52