Il tema delle migrazioni non è di destra o di sinistra

Sono le nazioni che hanno storicamente legittimato gli Stati, evidenziando le comuni “legature” dei popoli con gli Stati. L’Europa non ha omogeneità né di lingua, né di religione, né di memoria storica, dunque l’Unione europea non è in grado di autolegittimarsi in assenza di un “patriottismo europeo”.

Tocqueville ritiene che per stare assieme una comunità di persone deve poter contare su un minimo di fattori di comunanza. «Si ha una società - affermava - solo quando gli uomini considerano un gran numero di oggetti sotto lo stesso aspetto; quando essi hanno la stessa opinione riguardo a un gran numero di soggetti; quando gli stessi fatti fanno nascere in loro eguali impressioni ed eguali pensieri».

Anche per Habermas, in ogni comunità democratica deve trovare incarnazione «il medium d’integrazione di una solidarietà statale e sovrastatale, che è necessaria per il formarsi di una volontà politica comune e per la legittimazione dell’esercizio del potere».

Lo Stato non esiste senza un tessuto umano e solidale. Lo stesso vale per l’Europa, che esiste solo se si tengono fermi alcuni fattori identitari, di carattere solidale. Sul punto sempre Habermas afferma: «Il diffondersi sovranazionale della solidarietà civica dipende da processi di apprendimento che, come l’attuale crisi lascia sperare, possono essere stimolati dalla percezione degli stati di necessità in cui versino l’economia e la politica». Siamo a questo punto? Non ancora, ma potremmo arrivarci prestissimo.

Gli Stati Uniti d’America hanno trovato unità nel patriottismo della Costituzione. Un percorso inesistente in Europa, anche se tutti sanno che il “funzionalismo” su cui si è retta fin’ora non basta più.

In questo quadro, i problemi che il fenomeno migratorio pone diventano cruciali. È in grado l’Europa di declinare alcuni principi basilari e dettare una disciplina comune, capace di “concertare” la gestione del fenomeno dell’immigrazione? Anche negli Stati Uniti il riconoscimento della competenza federale a disciplinare il fenomeno migratorio ha impiegato più di cento anni prima di affermarsi. Tuttavia l’avvio di una vera politica comune europea sull’immigrazione serve oggi, oggi e non domani. Qui l’Unione si gioca tutto, perché investe sulla possibilità di rendere percepibile la propria identità. L’identità di un’intera regione del mondo in cui, accanto alle aspettative del benessere, i valori della solidarietà possono emergere, oppure latitare, oscurando l’intera cultura dell’Occidente.

La prospettiva dell’inclusione regolata e disciplinata non ha alternative, perché le democrazie sono per definizione inclusive e non precludono l’espansione della propria cittadinanza. Si deve riconoscere però che le democrazie, in quanto sistemi ideologicamente aperti, sono anche sommamente vulnerabili, fragili e vanno protette, tanto che i diritti di libertà in esse dichiarati si possono e si devono, in alcuni casi, per fini di difesa, comprimere o delimitare.

L’art. 2, par. 3, del Protocollo 4 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, indica la strada. L’imperativo categorico è il «mantenimento dell’ordine pubblico», ove per ordine pubblico s’intende la difesa di quei valori essenziali della società democratica che, nei vari Stati, attribuiscono coesione ed efficacia alle comunità statali. Un concetto che unifica e identifica una società, assicura la protezione di un popolo, la sua conservazione, la pace nelle relazioni sociali e la realizzazione di un ideale di civiltà.

Il tema delle migrazioni, nonostante qualcuno la pensi diversamente, non è facilmente collocabile a destra o a sinistra della geografia politica e coinvolge trasversalmente tutti, persone e partiti, di destra o di sinistra. La convergenza nell’attuale governo Lega-5 Stelle sulla gestione degli sbarchi, nonostante le diverse sensibilità del Presidente della Camera Fico, ne è la migliore testimonianza.

Su questi temi non è impossibile la ricerca di una comune politica nazionale ed europea. Popolari europei, socialisti e “sovranisti” dovrebbero ritrovarsi nella ricerca di un minimo comun denominatore. Ne va del futuro. Si tratta di temi non più rinviabili per una comunità di popoli che vuol restare tale e intende consolidare le proprie conquiste di libertà.

Aggiornato il 03 luglio 2018 alle ore 17:43