Bologna, per il due agosto si prepara la solita kermesse

Per un Paese che vive di ricordi, di solito molto brutti, e che cerca di accreditare teoremi politici per via giudiziaria, dal 1969 a oggi, la prossima data del 2 agosto rappresenta una pietra miliare per la retorica di sinistra. Ogni anno, in quel giorno, che poi è quello del funesto e terribile attentato alla stazione di Bologna − quando alle 10.25 di una maledetta mattina di piena estate si fermarono le vite di 85 persone e quelle di altre duecento restarono segnate per sempre − si celebra una finta certezza: quella che siano stati assicurati alla giustizia gli autori dell’eccidio in questione. In Italia ormai anche i sassi sanno però della probabilissima innocenza di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti. Come dell’esistenza delle cosiddette “piste alternative” a quella fascista, all’epoca imboccata grazie ai depistaggi del Sismi infiltrato dalla P2. Ad esempio, l’ipotesi assai plausibile dell’incidente di trasporto di esplosivo del gruppo di Carlos per conto dei palestinesi. Ovvero la ritorsione premeditata da parte dei terroristi del Fplp (Fronte popolare di liberazione palestinese) per l’arresto di uno di loro mesi prima a Ortona mentre trasportava missili Strela insieme al compagno autonomo Daniele Pifano. Ma la condanna definitiva (e molto probabilmente ingiusta) di Mambro e Fioravanti è come un timbro burocratico “de sinistra” su cui molti nella città di Bologna hanno costruito la propria credibilità e la propria carriera politica.

Quest’anno poi c’è la possibilità di un’ulteriore mobilitazione anti-fascista delle piazze perché si sta celebrando un processo parallelo per la stessa strage contro Gilberto Cavallini, uno dei terroristi dei Nar che più di trenta anni fa fu complice degli omicidi e delle rapine dei Nar di Mambro e Fioravanti. Un processo senza prove e con tanti teoremi, portati avanti da magistrati più giovani di quelli di trent’anni orsono, anche meno preparati ma egualmente impostati ideologicamente. Serve, insomma, un altro finto colpevole, un altro capro espiatorio, per questa strage che non si ha il coraggio di inquadrare nel circuito di quelle del terrorismo palestinese. Per probabile vendetta di “violazione” da parte delle autorità giudiziarie italiane del famigerato “Lodo Moro”, cioè quel patto, forse anche messo nero su bianco, secondo cui i guerriglieri di Arafat in Italia potevano fare quel che volevano tranne che gli attentati. Un patto forse attualizzato anche oggi, era del terrorismo islamico, in cambio di soffiate che finora hanno evitato atti di jihadismo suicida nel Bel Paese. Intervistati da giornalisti di sinistra onesti intellettualmente – ad esempio, Andrea Colombo del “Manifesto” − più volte tanto Mambro quanto Fioravanti hanno raccontato di avere capito la ragione di Stato per la quale hanno dovuto accettare, anzi subire, una condanna ingiusta. E di essersene fatta una ragione.

Quel che però è difficile accettare, da parte dell’opinione pubblica non faziosa, è la consueta retorica anti-fascista, condita ogni anno da fischi alle autorità di governo che si azzardino a intervenire alle cerimonie di commemorazione a Bologna. Se ragion di Stato doveva esserci, ragion di Stato ha prevalso. Ma per favore, non chiamiamola “giustizia” e soprattutto non scriviamoci sopra romanzi complottisti sulla destra eversiva degli anni Ottanta. Per lo più composta da ragazzini che vivevano il proprio sbando esistenziale in maniera violenta e purtroppo omicida. Ma non golpista o stragista.

Aggiornato il 19 luglio 2018 alle ore 12:04