Ubi maior, Salvini cessat

Il pm è un supereroe invincibile. Almeno in Italia. Quando ti ci metti in rotta di collisione le corna te le rompi tu. Ecco quindi spiegate le marce indietro che seguono quasi sempre, da parte dei politici italiani, le velate minacce di “riformare la giustizia”. O “la magistratura”. Quando il gioco si fa duro e finiscono inevitabilmente indagati. Perché le marce indietro? Perché finisce sempre che è lei – la magistratura – che “ti riforma”. Questo gioco va avanti dal 1992. E poi dalla caduta di Bettino Craxi in poi. Un Parlamento che invano Pannella cercava di fare riunire alle 7 del mattino con la trovata degli “autoconvocati” per riaffermare il proprio ruolo a fronte degli avvisi di garanzia che alla fine lo sciolsero. Un Parlamento che votò la fine di ogni filtro alle indagini sui propri membri.

Un Parlamento che in pratica rese impossibile l’istituto costituzionale dell’amnistia e dell’indulto. E che determinò l’ormai pluridecennale problema tragico del sovraffollamento carcerario e dei suicidi dietro le sbarre: 41 fino a oggi quelli dell’anno in corso. Un Parlamento che si consegnò a qualunque pm di provincia che volesse assurgere a fama internazionale indagando, più o meno sensatamente, il potente locale o nazionale di turno. Questo andazzo ha anche coinciso con la caduta in rovina della economia italiana oltre che con la sostituzione di una classe politica con un’altra largamente meno preparata. Ora siamo al redde rationem: in Italia non si possono fare opere pubbliche perché i sindaci hanno paura anche della loro ombra. Non si firmano atti e delibere che superino il milione di euro e poi adesso abbiamo anche l’Anac e il famigerato codice degli appalti a fermare ogni velleità imprenditoriale di lavorare per la pubblica amministrazione. Che, per inciso, continua a pagare con ritardi di sei mesi-un anno di media. Mettiamoci pure il Daspo per i corruttori, che speriamo non sia retroattivo come l’abolizione dei vitalizi. Sennò in Italia non ci sarà più una sola impresa “degna” di lavorare per lo Stato. Che faticherà a trovarne di “vergini” anche all’estero, almeno da questo punto di vista. Viviamo nella follia ipocrita di un moralismo da stato etico. Ma da operetta, come quello che stanno preparando i vari Danilo Toninelli, Alfonso Bonafede e Luigi Di Maio.

In questo quadro il leader della Lega ha giocato la propria mano di poker praticamente bleffando. Organizzando un governo pazzesco proprio con gli eredi di questo giustizialismo manettaro che ha distrutto tutto. E nessuno è venuto a vedere le sue carte identitarie e sovraniste permettendogli di incassare una posta decisamente alta. Ora però il bluff è finito: sono come al solito giunti i magistrati a dire “vedo”. E “ubi maior” anche Salvini “cessat”.

Aggiornato il 11 settembre 2018 alle ore 13:50