Pace fiscale e pragmatismo generale

“Il moralismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”. E ciò notoriamente. E spiace dover constatare che il nostro Paese, tra antipolitica e giornali di sostegno, in questo si sia trasformato: un porto franco per arrivisti e canaglie che sperano e tentano (e talvolta riescono) a far carriera sulla pelle degli altri. Con i cittadini – che poi sarebbero “gli altri” – travolti da inutili e antipragmatici sensi di colpa. Specie quando si devono pronunziare fatidiche parole come “condono”, “amnistia” o “legalizzazione”. Si intende, fiscale, penale e del vizio. Eppure, questi tre concetti anche disgiuntamente (meglio se insieme) da soli sarebbero le chiavi per risolvere i nostri problemi economici. Attuali e futuri. Con buona pace del moralismo delle canaglie. Almeno in parte questa cosa sembrano averla capita Matteo Salvini e i suoi collaboratori. Che con un ampio progetto di pace fiscale, e legalizzando per l’intanto la prostituzione e tassandola, rischiano di fare la mossa giusta avvicinando lo Stato ai cittadini. Che negli ultimi dieci anni di crisi, ma forse anche da prima, si sono indebitati con il fisco e non sanno più come uscirne.

Se fosse coerente, Salvini dovrebbe allargare il proprio pragmatismo anche all’amnistia penale per risolvere l’arretrato della giustizia e mettere un punto fermo da cui potere ripartire per una sana riforma che preveda al primo punto la separazione delle carriere tra chi giudica e chi indaga. Così come dovrebbe essere il primo sponsor di una legalizzazione su ampia scala, quanto meno delle droghe leggere, per sottrarre alla mafia i profitti e riversare le accise (non meno di dieci miliardi di euro annui) dentro le casse dell’erario. Ma non si può avere tutto dalla vita e anche Salvini vuole conservare evidentemente un rifugio canagliesco identitario per fare propaganda verso il popolino meno consapevole.

Accontentandoci – per ora – della pace fiscale in cui lo Stato va incontro al contribuente e anche a se stesso, si può suggerire a Salvini di opporre al moralismo di repertorio delle varie Gabanelli e degli infidi alleati di governo una constatazione molto semplice: sotto il milione di euro i contenziosi con il fisco riguardano ormai un cittadino su due e non paga uno su tre. È meglio prendersi una tantum un bel po’ di soldi (dai sette miliardi in su) o continuare a ipotizzare una società dove vadano in carcere un paio di milioni di contribuenti rovinati per sempre dallo Stato come nelle tragedie shakespeariane? Stesso discorso per la prostituzione: gli italiani sono un popolo di “utilizzatori finali”. Ma anche di sex workers, se è vero che l’offerta supera abbondantemente la domanda e chiunque può andare a constatare di persona su internet. In questo quadro di realtà, invece di ipotizzare nuovi eserciti della salvezza, non sarà meglio far pagare le tasse a chi esercita il mestiere più antico del mondo? Magari così si trovano anche i soldi per il reddito di cittadinanza e per superare la Legge Fornero.

Ecco, se Matteo Salvini terrà duro almeno sulla pace fiscale e sulla legalizzazione e tassazione delle prostitute, allora non è difficile preconizzargli un grande futuro non solo da leader di curva, da capitano o da premier. Ma persino da statista. E d’altronde tanti pseudo-statisti post Democrazia Cristiana e di sinistra che lo hanno preceduto, come ben si ricorderà, non esitarono a tuffarsi a pesce sulla possibilità di condonare le tasse o gli abusi edilizi quando l’odiato Silvio Berlusconi fece in sedicesimo mosse simili all’ipotizzata pace fiscale. Come diceva Ovidio, “cast est quam nemo rogavit”.

Aggiornato il 17 settembre 2018 alle ore 11:53