Pace fiscale e pragmatismo generale

lunedì 17 settembre 2018


“Il moralismo è l’ultimo rifugio delle canaglie”. E ciò notoriamente. E spiace dover constatare che il nostro Paese, tra antipolitica e giornali di sostegno, in questo si sia trasformato: un porto franco per arrivisti e canaglie che sperano e tentano (e talvolta riescono) a far carriera sulla pelle degli altri. Con i cittadini – che poi sarebbero “gli altri” – travolti da inutili e antipragmatici sensi di colpa. Specie quando si devono pronunziare fatidiche parole come “condono”, “amnistia” o “legalizzazione”. Si intende, fiscale, penale e del vizio. Eppure, questi tre concetti anche disgiuntamente (meglio se insieme) da soli sarebbero le chiavi per risolvere i nostri problemi economici. Attuali e futuri. Con buona pace del moralismo delle canaglie. Almeno in parte questa cosa sembrano averla capita Matteo Salvini e i suoi collaboratori. Che con un ampio progetto di pace fiscale, e legalizzando per l’intanto la prostituzione e tassandola, rischiano di fare la mossa giusta avvicinando lo Stato ai cittadini. Che negli ultimi dieci anni di crisi, ma forse anche da prima, si sono indebitati con il fisco e non sanno più come uscirne.

Se fosse coerente, Salvini dovrebbe allargare il proprio pragmatismo anche all’amnistia penale per risolvere l’arretrato della giustizia e mettere un punto fermo da cui potere ripartire per una sana riforma che preveda al primo punto la separazione delle carriere tra chi giudica e chi indaga. Così come dovrebbe essere il primo sponsor di una legalizzazione su ampia scala, quanto meno delle droghe leggere, per sottrarre alla mafia i profitti e riversare le accise (non meno di dieci miliardi di euro annui) dentro le casse dell’erario. Ma non si può avere tutto dalla vita e anche Salvini vuole conservare evidentemente un rifugio canagliesco identitario per fare propaganda verso il popolino meno consapevole.

Accontentandoci – per ora – della pace fiscale in cui lo Stato va incontro al contribuente e anche a se stesso, si può suggerire a Salvini di opporre al moralismo di repertorio delle varie Gabanelli e degli infidi alleati di governo una constatazione molto semplice: sotto il milione di euro i contenziosi con il fisco riguardano ormai un cittadino su due e non paga uno su tre. È meglio prendersi una tantum un bel po’ di soldi (dai sette miliardi in su) o continuare a ipotizzare una società dove vadano in carcere un paio di milioni di contribuenti rovinati per sempre dallo Stato come nelle tragedie shakespeariane? Stesso discorso per la prostituzione: gli italiani sono un popolo di “utilizzatori finali”. Ma anche di sex workers, se è vero che l’offerta supera abbondantemente la domanda e chiunque può andare a constatare di persona su internet. In questo quadro di realtà, invece di ipotizzare nuovi eserciti della salvezza, non sarà meglio far pagare le tasse a chi esercita il mestiere più antico del mondo? Magari così si trovano anche i soldi per il reddito di cittadinanza e per superare la Legge Fornero.

Ecco, se Matteo Salvini terrà duro almeno sulla pace fiscale e sulla legalizzazione e tassazione delle prostitute, allora non è difficile preconizzargli un grande futuro non solo da leader di curva, da capitano o da premier. Ma persino da statista. E d’altronde tanti pseudo-statisti post Democrazia Cristiana e di sinistra che lo hanno preceduto, come ben si ricorderà, non esitarono a tuffarsi a pesce sulla possibilità di condonare le tasse o gli abusi edilizi quando l’odiato Silvio Berlusconi fece in sedicesimo mosse simili all’ipotizzata pace fiscale. Come diceva Ovidio, “cast est quam nemo rogavit”.


di Dimitri Buffa