Centrodestra: un week-end di ordinario disordine

Il fine settimana appena concluso restituisce la fotografia di un centrodestra in grande subbuglio. Due, infatti, gli eventi che hanno consentito alle componenti non leghiste della coalizione di dare conto all’opinione pubblica di una vitalità altrimenti messa in discussione dagli andamenti dei recenti sondaggi. A Fiuggi si è ritrovata Forza Italia in una convention animata principalmente dall’attivismo del vicepresidente del partito e presidente dell’europarlamento, Antonio Tajani.

All’isola Tiberina, cuore di Roma, si è svolta “Atreju”, la tre-giorni che ha riunito i sodali di Giorgia Meloni. Risultato: la confusione regna nella Babilonia del centrodestra. Dovrebbero tutti remare dalla stessa parte, ma la sensazione è che ciascuno suoni la propria musica badando più a fregare lo spartito al vicino di sedia che ad andare a tempo con l’orchestra. Se Antonio Tajani si spende con tutte le forze per marcare la distanza dall’alleato leghista pronosticando la fine prossima dell’esperienza di governo giallo-blu e conseguente subitaneo ritorno di Salvini alla casa-madre del centrodestra, Giorgia Meloni prepara la sua personale “Opa” su Forza Italia. Il progetto di aprire un nuovo contenitore della destra che, in piena autonomia dal leghismo salviniano, metta insieme i pezzi sparsi della tradizione politico-culturale della destra, dal conservatorismo al liberalismo, dal riformismo laico al tradizionalismo di matrice cattolica, dall’europeismo al nazionalismo, è certamente audace. Non che non sia possibile, al contrario. Tuttavia, perché sia praticabile esso deve prendere le mosse da una seria elaborazione di un pensiero critico condiviso sulla realtà e sulle prospettive della società italiana. Il timore, invece, è che si parta dalla coda, cioè dalla preoccupazione di fare massa elettorale per superare, alle prossime elezioni europee, la soglia di sbarramento del 4 per cento, posto che l’asticella non venga alzata di un altro punto percentuale. In tal caso, l’operazione di riposizionamento strategico, avviata nel fine settimana da Fratelli d’Italia, si trasformerebbe in un patetico camouflage, destinato a non sortire alcun effetto positivo presso l’elettorato. Qualora, però, la manovra innescata dalla Meloni fosse convintamente di alto profilo, cioè se puntasse alla ricomposizione di una destra politica non soltanto sovranista ma anche conservatrice alla maniera prezzoliniana più che a quella reaganiana, nello spirito di un pensiero radicato nella cultura mitteleuropea del primo Novecento piuttosto che in quella anglosassone, la vittima designata, dal punto di vista dello spostamento dei flussi elettorali, non sarebbe la Lega ma Forza Italia per maggiore affinità dei rispettivi blocchi sociali di riferimento. Benché la cosa possa apparire bizzarra, visti i rapporti di forza tra il partito berlusconiano e quello della Meloni certificati nelle urne del 4 marzo, la tanto temuta cannibalizzazione leghista di Forza Italia dovrebbe lasciare il posto alla famelicità rampante di Fratelli d’Italia.

E i forzisti? Spiace dirlo ma sembra che i suoi odierni dirigenti vivano in un mondo incantato, in una dimensione altra dalla realtà. Cosa è emerso di forte dal meeting di Fiuggi? Un malessere e due annunci. Il malessere: la dirigenza del partito mugugnerebbe perché non ha digerito la decisione del leader Berlusconi di concedere la candidatura alla presidenza della regione Abruzzo a un esponente di Fratelli d’Italia e non ad un forzista. Se questa è la maggiore preoccupazione delle prime linee azzurre, vuol dire che davvero sono sulla luna e non accennano a scendere. Primo annuncio: la rifondazione di Forza Italia. Si tratta dell’ennesimo proclama? Finora i precedenti non confortano: dietro le parole nessun fatto concludente le facce dei “soliti noti” della classe dirigente sono rimaste le stesse, inossidabili in tutte le stagioni. Secondo annuncio: il vecchio leone di Arcore si candiderà alle prossime elezioni europee. Si speri che non sia vero o che l’interessato ci ripensi, perché sarebbe un errore catastrofico costringere il leader carismatico, al quale spetta il ruolo di regista dell’intera area politica da lui fondata e diretta pe un quarto di secolo, a partecipare da capo-partito a una competizione a base proporzionale. Forza Italia parte dal dato delle ultime Europee, nel 2014. In quell’occasione il partito berlusconiano si attestò al 16,83 per cento, con 4.605.331 voti assoluti. Domani, qualsiasi risultato inferiore al precedente decreterebbe la sconfitta di chi, in nome e per conto di tutto il partito, avrà sostenuto il confronto elettorale. Scoprire il fianco a Berlusconi, pur nella consapevolezza che da consumato statista egli possa avere ancora un ruolo significativo per il centrodestra e per il Paese, è semplicemente da irresponsabili. La partita delle europee se la giochino coloro che in questi anni sono stati a Bruxelles e ne hanno tratto fama e gloria personale. Sembra un teatro degli specchi: se l’iniziativa meloniana, partorita sull’isola Tiberina, appare una via di mezzo tra il temerario e il disperato, quella di Fiuggi è da museo delle cere. Questa volta la logica del buon senso, che insegna del come la somma di due sconfitte non faccia una vittoria, è superata dall’altra massima per la quale tra i due litiganti il terzo gode. E un terzo, che sornione e beato sta alla finestra ad osservare l’agitarsi altrui, c’è. Si chiama Matteo Salvini.

Aggiornato il 24 settembre 2018 alle ore 13:51