Il processo infinito

Chi ha paura della prescrizione illimitata? Colpevoli e innocenti, a quanto pare… L’articolo 111 della Costituzione stabilisce tra l’altro che “[…] ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

Conseguenza logica dell’interruzione della prescrizione (che in moltissimi ordinamenti democratici avviene fin dal rinvio a giudizio, laddove però i processi hanno una durata media pari a una piccola frazione di quella italiana!): sin dalla condanna/assoluzione in primo grado procuratori e giudici potrebbero decidere i ricorsi successivi anche in tempi biblici, sacrificando così il buon diritto del ricorrente ad avere una durata “ragionevole” di giudizio.

I processi durano moltissimo qui in Italia perché, avendo importato nel 1990 il sistema anglosassone di accusa, in cui l’avvocato della difesa agisce (molto in teoria!) alla Perry Mason, dato che le prove si formano in dibattimento secondo un processo sostanzialmente orale e dunque lunghissimo, noi siamo privi di fattispecie-filtro per l’ammissibilità dell’impugnazione, come accade al contrario nei regimi giuridici anglosassoni. Altrove, quindi, il sistema accusatorio funziona benissimo (proprio per i paletti posti ai ricorsi avverso la sentenza di primo grado) dato che la stragrande parte dei procedimenti aperti vanno a patteggiamento.

Il che, come verificato dalla copiosissima filmografia americana, comporta un vero e proprio mercato delle vacche tra accusa e difesa per spuntare un “prezzo equo” a favore del presunto (o reo confesso) colpevole. Invece, se l’imputato può scommettere sui tempi lunghi della giurisdizione avvalendosi dei termini di prescrizione a suo favore, c’è da giurare che non si darà mai la zappa sui piedi accettando il patteggiamento. Il che, detto per inciso, fa assai comodo alla difesa perché, come dire, “allunga” i costi della parcella.

L’ex magistrato Carlo Nordio, oggi illustre e ascoltato collega opinionista, sposta (direi ragionevolmente…) i termini della questione proponendo che la prescrizione decorra non a partire da quando sia stato commesso il reato, ma bensì dal momento in cui venga scoperto. Questo però non andrebbe a incidere sulla parte sostanziale della questione, poco nota al grande pubblico. Ovvero: a causa dell’obbligatorietà dell’azione penale, è prassi consolidata da parte dei pm lasciar dormire i fascicoli in giacenza per reati minori ma perseguibili a norma di legge, in modo da archiviarli grazie al subentro della prescrizione.

Ma qui, come si vede, bisognerebbe metter mano alla Costituzione o, surrettiziamente, dare maggiore flessibilità ai capi della Procura affinché diano ai loro aggiunti un ordine di priorità per l’istruttoria, assicurando la precedenza a quei reati che generino un più elevato grado di allarme sociale. Per far questo però occorrerebbe grande e trasversale serenità da parte delle forze politiche che, al contrario, oggi come oggi, si affrontano a male parole sul fatto che se diluvia è colpa del governo in carica. Ed ecco servito il paradosso: “siamo l’unico Paese al mondo in cui il processo accusatorio prevede anche l’obbligatorietà dell’azione penale”!

Tutto vero, tutto giusto. Ma, dal mio punto di vista c’è un “ma”: i magistrati non sono forse equiparati (anche per i corposi stipendi) a dirigenti pubblici? E l’organizzazione dei loro uffici (pubblici) non è soggetta ai controlli di gestione e di risultato, come in tutto il resto della Pubblica amministrazione? E secondo me i magistrati non se li possono far da soli, questi tipi di controlli, avvalendosi dell’autonomia del Csm che giudica “interna corporis”. Domanda: ma la competenza del suddetto giudizio amministrativo non potrebbe essere incardinata nella Presidenza della Repubblica che costituirebbe, pertanto, la giusta autorità super partes riconosciuta e rispettata da tutti? Attendo fiducioso lumi.

Aggiornato il 06 novembre 2018 alle ore 12:08