Polvere di Stelle

Era inevitabile che il Governo del cambiamento a un certo punto cominciasse a palesare le prime crepe: a ridosso dell’inizio dell’ultimo Consiglio dei ministri c’è stata infatti la bocciatura dell’emendamento sul condono di Ischia ad opera della cosiddetta “fronda Cinque Stelle”, una manciata di onorevoli ribelli che rischia di mandare in frantumi (per come la conosciamo attualmente) una maggioranza che in Senato è nata con numeri veramente risicati.

E prim’ancora c’era stata l’intemerata di Gregorio De Falco sul decreto sicurezza, un fulmine in grado di preannunciare che le ostilità contro il Governo si sarebbero scatenate proprio a Palazzo Madama.

In molti ci vedono l’inizio della fine della maggioranza gialloverde, ma non è così perché costoro sono condannati a convivere, a rifilarsi colpi bassi tirando a campare di stenti nonostante la lacerante divergenza di visione sui principali dossier in campo. E così, malgrado le distanze, i gialloverdi sono costretti a stare insieme per una serie di motivi sia di ordine pratico sia di sistema.

Se infatti il matrimonio che “non s’aveva da fare” si interrompesse proprio adesso, le due gambe della maggioranza rischierebbero un risultato deludente alle imminenti elezioni europee interrompendo in maniera castrante quel trend di costante crescita registrato negli ultimi mesi. Ciò perché, spaccandosi come degli Angelini Alfani qualsiasi, dimostrerebbero di essere come gli altri e cioè un gruppo di avventurieri capaci solo di promettere sfracelli senza quagliare su nulla. Dei parolai ancor più beceri di quanto non stiano dimostrando di essere.

E in questo gioco al massacro chi ci rimetterebbe di più sarebbe proprio il finora totalmente fallimentare Movimento Cinque Stelle che è quindi costretto ad andare d’accordo con Matteo Salvini facendo rientrare i malumori perché è meglio un Esecutivo scialbo che un ribaltone con conseguente bagno di sangue elettorale.

Forza Italia così come il Partito Democratico insegnano che, una volta imboccata la via del declino, la risalita è impossibile potendosi solo peggiorare le performance.

Luigi Di Maio è quindi obbligato a consegnarsi al suo alleato più di quanto non abbia già fatto pena la fine di qualsiasi velleità di futuro. Giggino è in trappola e, dopo la voce grossa fatta per non perdere la faccia, dovrà abbozzare per evitare il completo disastro spuntando una resa che riesca almeno a salvare l’onore nella speranza di comporre nel frattempo le spaccature interne al suo partito.

E infatti già si parla di epurazioni eccellenti nel governo e di nuovi assetti in grado di tranquillizzare le correnti grilline rimaste a bocca asciutta nell’attuale Esecutivo. Una democristianata che potrebbe non bastare e che potrebbe indurre i due vicepremier a valutare come extrema ratio un ingresso di Giorgia Meloni, l’unica in termini di seggi parlamentari in grado di schermare la maggioranza impedendo che una manciata di ribelli faccia venire giù l’attuale assetto. Il tutto dovrebbe accadere prima che le incomprensioni tra alleati non diventino definitive.

Ciò toglierebbe d’impaccio anche Sergio Mattarella che sa bene quanto una composizione diversa da quella esistente sarebbe irrealistica dato il deterioramento dei rapporti tra l’attuale maggioranza e l’opposizione. Se si consumasse una rottura definitiva tra i leghisti e i pentastar, nessuno accetterebbe di fare da stampella ad una delle due compagini sopra citate: allo stato attuale il Pd avrebbe problemi a governare con la Lega mentre Forza Italia non potrebbe mai convivere in un esecutivo a trazione grillina. Peccato che una nuova maggioranza non potrebbe prescindere (in questa eventualità) dalla partecipazione congiunta delle attuali opposizioni che si andrebbero simultaneamente a sommare a un pezzo dell’attuale maggioranza.

Tertium non datur, il problema è senza soluzione e sollevarlo non serve evidentemente a nessuno. Ragion per cui molto realisticamente stanno facendo tanto rumore per nulla.

Aggiornato il 15 novembre 2018 alle ore 12:09