Giù le mani da Radio Radicale e dai fondi per l’editoria

venerdì 14 dicembre 2018


La presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ha un doppio cruccio in questi giorni: il destino di Radio Radicale, cui il governo del cambiamento ritorsivo vuole togliere la convenzione per la trasmissione dei lavori dal Parlamento che da anni svolge a meno di un quarto del costo con cui lo stesso lavoro (ma al netto di tutto il resto, cioè processi, sedute del Csm, congressi di partito, interviste, eccetera) svolge l’emittente creata da Marco Pannella, e “l’ingiusto taglio dei fondi per l’editoria”.

Lo ha spiegato pochi giorni orsono ai microfoni proprio della radio in questione, intervistata dal direttore Alessio Falconio: “Io seguo da sempre Radio Radicale perché ho condiviso e condivido le battaglie per l’affermazione dei diritti civili e ritengo che l’informazione sia una delle principali espressioni della libertà di pensiero perché crea nei cittadini consapevolezza… direi quella consapevolezza che li dovrebbe poi portare a partecipare alle scelte della vita politica e sociale”.

Insomma, il famoso “conoscere per deliberare” di einaudiana memoria. Poi, pochi secondi dopo, la Casellati è tornata sulla nuova bandierina demagogica dei grillini, il taglio dei fondi ai giornali, particolarmente odioso per il connotato vendicativo e anticostituzionale che ha assunto dopo che i Cinque Stelle si sono ritrovati essi stessi ad essere ‘casta’: “Viviamo una fase di profonda trasformazione delle tecnologie e della professione del giornalismo; una trasformazione che mette a rischio i conti economici e l’occupazione del settore di questo settore nel nostro Paese… anche in conseguenza dei tagli dell’editoria e ne risente soprattutto la stampa cosiddetta minore, e io non la considero poi per la verità minore… in realtà ne risente tutto il tessuto diffuso e vitale del pluralismo dell’informazione e io non lo trovo giusto, lo sto dicendo, sto insistendo su questo tema perché non si può tacere…”.

E infatti questa donna liberale e coraggiosa, questo presidente del Senato che brilla nel grigio conformismo della politica all’epoca dell’algoritmo, non tace e non teme di essere impopolare pur di non essere “antipopolare”. I tagli all’editoria sono una cosa diversa ovviamente dal mancato rinnovo (o minacciato tale) della convenzione a Radio Radicale, ma a ben vedere hanno un punto in comune: il fastidio di questa nuova “casta” populista al potere contro le critiche della ragionevolezza. Loro che si sono approfittati delle fake news e dell’inganno per vincere le scorse elezioni. Ora che i nodi vengono al termine - e le penose figure di guano che rimediano i maggiori esponenti di governo in giro per l’Italia e l’Europa (a voler essere pignoli in tutto il mondo, ndr) sono sotto gli occhi di tutti - è brutto dovere constatare che lo stesso metodo che ai tempi dei “Vaffa day” di Beppe Grillo veniva usato contro i vari Governi Monti, Letta, Renzi e Gentiloni – per non parlare di quello sparare a zero su Berlusconi che per un periodo fu come farlo sulla Croce rossa – ora viene rivolto contro il cosiddetto governo del popolo. L’ultimo, solo in ordine di tempo, “sgarbo” è venuto dalla Commissione lavoro autonomo della Fnsi - il sindacato dei giornalisti in questi giorni impegnato con tutte le componenti nazionali e territoriali nella tornata elettorale che precede il prossimo congresso - che ha detto a brutto muso a Vito Crimi, messo a presiedere come sottosegretario proprio il dipartimento di questi fondi per l’editoria, la frase: “La casta sarà lei”. Il tutto durante una manifestazione tenuta davanti a Palazzo Chigi il 10 dicembre scorso dai toni molto accesi avendo avuto come oggetto proprio la ratio – che non c’è – di questo ennesimo taglio dei soldi ai giornali. “Casta sarete voi – diceva il comunicato emanato e diffuso poi dall’Associazione stampa romana – perché sarebbe interessante confrontare le buste paga dei giornalisti autonomi, freelance, precari che ieri erano sotto le finestre del ministero con le vostre. Chi è, quindi, la casta?”.

Sui Fondi per l’editoria e sui relativi tagli, va detto, la campagna demagogica iniziò dopo una trasmissione di Report della Milena Gabanelli. Che denunciava alcune storture. E delle truffe, due o tre episodi in tutto, che poi vennero sanzionate. La politica, che non vedeva l’ora di vendicarsi sui giornali, prese al volo il pretesto, visto che c’era pure la crisi, per contrabbandare questi tagli modesti, meno di cento milioni di euro in tre anni più gli altri cinquanta scarsi che si vorrebbero eliminare adesso da parte dei grillini, come grande risparmio. In realtà si trattava degli ormai mitici “risparmi di Maria Calzetta”, cioè quelli inutili quando non controproducenti.

Basta farsi due conti a tavolino: a fronte di 150 milioni di euro ipoteticamente tagliati alla fine di questo percorso, mettendo da parte la tutela delle minoranze politiche e linguistiche e il pluralismo dell’informazione, tutte entità tutelate esplicitamente dalla “Costituzione più bella del mondo”, c’è tutta una partita di giro bellamente ignorata. Tremila o quattromila occupati in meno che non pagano più tasse, che bisogna assistere con varie casse integrazioni e indennità di disoccupazione, che non contribuiscono più all’Inpgi, l’istituto di previdenza dei giornalisti, che infatti è in crisi e presto dovrà essere sostenuto dalla fiscalità pubblica. E che un domani magari dovranno persino - paradossalmente - essere sussidiati con il mitologico “reddito di cittadinanza”.

Alla fine, se i conti quasi non si pareggiano poco ci manca. Che risparmi sono? Lo stesso discorso vale – sotto altri profili – per i tagli minacciati alla convenzione con Radio Radicale. Che risparmio è levare quei 10 milioni annui se poi quel lavoro in convenzione la Rai di Radio Parlamento lo fa con gravi difficoltà con oltre 30 milioni l’anno, peraltro senza coprire tutti i processi più importanti in Italia, la vita del Csm e della Corte costituzionale, le interviste ai politici e i congressi di tutti i partiti? I “risparmi di Maria Calzetta”, quindi, conditi con la furbizia vendicativa propria dei peggiori esponenti di questo Governo gialloverde.


di Dimitri Buffa