Francescani a Cinque Stelle

Un aforisma, un commento - “Libertà significa commettere errori senza alcun appiglio per darne la colpa agli altri.

In questo senso, libertà e democrazia sono piuttosto antitetici poiché, in politica, sia gli eletti sia gli elettori non ammetteranno mai di avere sbagliato e daranno sempre la colpa agli altri. Gli errori fanno parte della natura umana ed è un limite della democrazia che non si abbia notizia di nessuna resipiscenza da parte di chi vota e di chi governa. La sola garanzia è costituita dal ruolo della minoranza parlamentare, quando c’è. Ma può non bastare. In questi giorni, per esempio, le opposizioni sottolineano giustamente i giri di valzer del Governo, palesi ammissioni di fatto dei propri errori, in tema di economia, ma vi sono altri eventi, tutt’altro che secondari, che andrebbero segnalati e duramente biasimati. Ne vorrei indicare tre.

Il primo riguarda le cosiddette “pensioni d’oro”. Si tratta di una misura che, assieme al “Reddito di cittadinanza”, fa certamente gongolare il popolino e, dunque, gli elettori dei 5 Stelle. Tuttavia, a parte l’eventuale giudizio negativo della Corte costituzionale che probabilmente verrà chiamata ad esprimersi, vanno sottolineati un aspetto logico ed uno sociologico non trascurabili anche se, al suddetto popolino e ai grillini non farà né caldo né freddo. Sotto il profilo logico, le sia pur poche migliaia di persone che godono di una pensione al di sopra dei novantamila euro lordi annui, sono quasi tutti, in sintesi, alti funzionari dello Stato, ufficiali superiori delle forze armate, magistrati e un certo numero di professori universitari, come il sottoscritto, che abbiano maturato più di quarant’anni di ruolo. A nessuno di noi, durante la nostra carriera di lavoro, è stato detto che avremmo percepito la pensione nella misura dei nostri contributi. E la ragione è molto semplice: la nostra pensione era calcolata attraverso una legge dello Stato ad hoc (così come gli stipendi fissati da tabelle decise dal Governo senza contrattazione) a carico delle entrate tributarie generali dello Stato, fra cui le nostre stesse sostanziose imposte. È ovvio che, se la legge che ha introdotto il metodo di calcolo contributivo, fosse stata emanata durante la nostra carriera, i contributi sarebbero stati versati in qualche forma e il calcolo dell’ammontare della pensione sarebbe avvenuto anche per noi per via contributiva, come accade oggi. Applicare la nuova tecnica di calcolo alle nuove pensioni può essere ragionevole ma applicarla retroattivamente è senza dubbio una evidente prepotenza oltre che un errore logico e verosimilmente giuridico.

Ora, con orgoglio degno di miglior causa, Luigi Di Maio afferma, letteralmente, che i cosiddetti ‘pensionati d’oro “devono vergognarsi”. Da qui, il sapore ‘punitivo’ di un taglio che, al di là della sua consistenza, costituisce un errore di cui dovrebbe vergognarsi lui, assieme ai suoi sostenitori. Sotto il profilo sociologico, l’atteggiamento “giustizialista” con cui viene presentata la cosa, implica che, così come viene giudicata troppo elevata la pensione di un professore universitario o di un dirigente dello Stato, venga giudicato, tacitamente, troppo elevato lo stipendio di costoro, sulla cui base veniva calcolata la pensione. Un simile atteggiamento non è più solo genericamente populista ma francamente vetero-comunista, nel senso che si vorrebbe tendere ad un livellamento, verso il basso, degli stipendi di tutti gli statali. Peraltro, non avviene e non è mai avvenuto in nessun Paese del mondo, Paesi comunisti inclusi, che anche fra i ruoli statali, così come in quelli delle aziende private, vi siano differenze di trattamento economico. Una realtà che può destare scandalo solo in chi si senta San Francesco o in chi, come i 5 Stelle, credono che la giustizia sociale consista nella povertà di tutti.

Sulla base della stessa logica strampalata, i 5 Stelle stanno cercando di convincere, come i pescatori con l’esca per i pesci, i pensionati che vivono all’estero a tornare in Italia promettendo loro di pagare solo il 7 per cento di imposte purché, udite, udite, siano fuori da non meno di 5 anni e vadano a risiedere in un comune di non più di 20mila abitanti. Qui l’errore diviene una vera follia che non sarebbe venuta in mente nemmeno a Lenin o a Mussolini. Col misurino più stupidamente arbitrario si istituisce una specie di vero e proprio confino, ripagato con una riduzione del carico fiscale, realizzando inoltre, in tutta evidenza, una disparità di trattamento rispetto agli altri pensionati, “rei” di essere rimasti in Patria. Altrettanto, si fissano a 5 gli anni di permanenza avvenuta all’estero onde evitare le ovvie furbizie di un pensionato che si trasferisca, poniamo, in Portogallo per sei mesi per poi tornare in Italia col bonus fiscale garantito.

Sempre in tema di pensioni, l’ultima trovata giustizialista consiste nella graziosa concessione da parte dello Stato di andare in pensione purché non si svolga più alcun lavoro. Qui la follia assume il carattere di uno sgradevole errore dovuto a miopia etica e insieme economica. Etica perché la nostra Repubblica, fondata sul lavoro, non può permettersi, senza generare sarcasmo, di vietare ad un uomo o una donna di 63 anni di svolgere un lavoro per il solo fatto che il suo rapporto professionale con lo Stato è terminato. A parte l’inevitabile induzione al lavoro nero, una simile proibizione – ancora una volta “punitiva” – implica la messa fuori gioco di persone che, pur essendo, di norma, ancora nel pieno dell’efficienza mentale , potrebbero rivelarsi utili o addirittura strategiche in molti ambiti, da lavori artigianali a quelli nell’ambito sanitario, dell’insegnamento e così via. Va osservato, fra l’altro, che un simile, bieco trattamento, non sarebbe pensabile da parte di nessuna compagnia assicuratrice presso la quale uno abbia accumulato una bassa o alta pensione privata. Tanto hai versato e tanto prenderai di pensione, insomma, e quel che farai dopo non ci riguarda. Ma lo Stato, sognato da molti ancora oggi come dispensatore di felicità e giustizia, non vuole, proprio non vuole che tu continui a procurarti reddito dopo la pensione, magari anticipata. In definitiva, avrai il reddito di cittadinanza da giovane e vivrai da povero fino alla fine.

Mi chiedo come facciano, molti elettori, ad accettare che Matteo Salvini e soci, tanto liberali a parole, appoggino simili balordaggini che, poi, pagheremo tutti non solo sul piano economico ma anche su quello, solo apparentemente rinviabile, della razionalità e della responsabilità. Vari commentatori dichiarano che, se non altro, i 5 Stelle hanno evitato che anche in Italia si creassero eventi come quelli accaduti in Francia. Sarà. Ma i guai che il Governo attuale sta generando sono probabilmente assai più gravi e, data la misera realtà dei suoi interventi, non è da escludersi che anche le nostre piazze si riempiano di ‘forconi gialli’ alla disperata ricerca di nuovi giustizieri senza idee.

Aggiornato il 18 dicembre 2018 alle ore 14:00