Prove fasulle di nuovi schieramenti

martedì 8 gennaio 2019


Si moltiplicano oramai nel nostro Paese questioni politiche che coinvolgono la pubblica opinione e la dividono in modo assai diverso da quello che è stato e, con modeste variazioni rischia di continuare ad essere, il panorama dei consensi ai partiti e delle rilevazioni dei sondaggi sulle intenzioni di voto. Ci sarebbe, anzitutto, da fare delle considerazioni sul fenomeno delle “intenzioni di voto” che non coincidono affatto con i giudizi della gente sulle questioni che, tuttavia, si debbono considerare fondamentali nella individuazione e quindi nella valutazione complessiva della politica dei partiti. Non è qui il luogo e l’occasione per affrontare un così rilevante problema. Diciamo subito che, almeno in parte esso è, per così dire, naturale e spiegabile, tanto più che c’è una notevole rapidità di spostamento dell’attenzione dell’opinione pubblica sulle diverse questioni e che queste si moltiplicano e si intrecciano in modo non per tutti spiegabile. Ma è pur vero che se in ogni luogo in cui vige un qualsiasi sistema politico democratico (ed in qualche misura anche altrove) il consenso alle maggioranze ed ai governi ha degli “zoccoli duri”, un po’ come il “tifo” per le squadre di calcio che rimane fisso per le “squadre del cuore” anche quando le folle degli stadi inveiscono contro vere o presunte inadeguatezze di giocatori e di allenatori. Una ragione di più per utilizzare l’allegoria del “bar dello sport”. Ma qui ed ora vorrei piuttosto fare qualche considerazione sulla effettiva possibilità di suonar la tromba della riscossa e di pensare di ridisegnare, magari, gli schieramenti politici, sulle divisioni di questi giorni, sulle crepe e sulle proteste determinate dalle cazzate, benché largamente (o così si crede) avvertite come tali dalla pubblica opinione. Che la sinistra possa suonar la diana della riscossa rispetto alla sua avvilente dissoluzione prendendo lo spunto dalla protesta dei sindaci per certe norme del “Decreto sicurezza” è quanto meno una gratuita concessione all’ottimismo di qualche leader in quiescenza. Ma soprattutto è chimerico il disegno di appoggiare la “crociata” e la conseguente creazione di una molto vasta schiera di aderenti con il concorso di una pronunzia della Corte costituzionale.

Della quale, in verità, se non Matteo Salvini, si direbbe che anche i 5 stelle temano l’evenienza. Che la Corte costituzionale possa intervenire in tempi politicamente utili è disegno che può essere concepito solo da ignoranti che parlano da “amici del Bar dello Sport” (qualifica che non meritano solo i sostenitori di questo malaugurato governo). Dopo la “bomba” dell’obiezione di coscienza di Leoluca Orlando a fronte delle norme del “Decreto sicurezza” definite “disumane”. Vi fu una ridicola gara di sindaci e governatori che annunziarono il ricorso alla Corte Costituzionale contro tale norma. Che il sindaco di un piccolo comune possa credere di poter disporre di tale strumento è pensabile (anche se non del tutto giustificabile), ma che dei presidenti di regione, che hanno (come del resto i sindaci di città neanche troppo piccoli, agguerriti e ben pagate avvocature dell’ente) possano ritenere che alla Corte costituzionale si vada semplicemente leggendo sull’annuario dove si trova la sua sede è cosa che accomuna questi “crociati” “dell’accoglienza” agli amici del bar dello sport. Alla Corte costituzionale non è ammesso ricorso diretto contro le leggi tacciate di incostituzionalità. Occorre che la questione sia sollevata (e ritenuta rilevante e non palesemente infondata) da un giudice investito di una controversia, il che significa “campa cavallo”. C’è voluta una precisazione di Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia (ex magistrato) per ridurre il linguaggio delle buone intenzioni di sindaci e presidenti di regioni se non alla ragionevolezza politica almeno a quel tanto di evanescente e complicato da evitare il ridicolo di una plateale smentita.

Semmai un minimo di informazione e di non troppo fantasiosa semplificazione dei “crociati” induce a riflettere sul dono di un grosso potere politico conferito così al Partito dei magistrati che, investito della facoltà, se non discrezionale, quasi così esercitata, di mandare o meno alla Consulta il “Decreto sicurezza” (incostituzionale sicuramente per altre questioni da esso affrontate) avrebbe, poi, modo di far pesare la propria funzione ancor di più la propria influenza politica sul Paese. I tempi, comunque, di un eventuale intervento della Corte costituzionale sono tali da avvicinarsi addirittura a quelli della scadenza di questa legislatura. Un’altra iniziativa politica incautamente affidata alla lunghezza non considerata dei tempi dello strumento costituzionale è quella che dovrebbe fare da collante per un nuovo schieramento anti-populista, è quella suggerita da Giuliano Ferrara in un trafiletto su “Il Foglio”. Ferrara, non incautamente, anche perché sommessamente, si domanda se indire un referendum sul millantato “Reddito di cittadinanza”, per il quale il governo ha già sciaguratamente rischiato la frattura con l’Europa e che ora si rivela esser anche un reddito di abusiva introduzione dello straniero nel territorio dello Stato, non sarebbe utile quanto meno per mettere assieme gli avversari di questi sgovernanti che si sta rivelando. È un altro “plof” di Salvini. Un risultato grottesco e sbeffeggiante della sua approssimativa arroganza.

Ma il referendum “sul decreto sicurezza” (o su parte di esso) è anch’esso uno strumento di intervento e di mobilitazione delle masse tutt’altro che fulmineo. Intanto si dovrà aspettare che il decreto sia emanato. Poi che sia convertito in legge. Quindi i tre mesi per la raccolta delle firme. Poi ancora i tempi del primo vaglio della Cassazione. Quindi quelli della Corte costituzionale. E la coincidenza con i tempi obbligati della “stagione referendaria”. Il referendum arriverebbe dopo, molto dopo, il prevedibile disastro causato da quella norma bugiarda e producente risse e truffe. Certo. Da tutto ciò si desume che, all’atto pratico, la tutela della costituzionalità delle leggi ed il potere di intervento diretto del popolo per l’eventualità della loro abrogazione è così lento da essere necessariamente non utilizzabile per i casi più gravi ed urgenti, intempestivo e, nel complesso, macchinoso e fragile. Ma i padri costituenti ed i legislatori degli anni successivi non potevano pensare che si cadesse nelle mani di una manica di ignoranti arroganti, e pericolosi testardi e visionari. Le democrazie le salvano solo i democratici. Quando sanno essere tali.


di Mauro Mellini