È uscito in queste settimane il libro di Mauro Mellini C’era una volta Montecitorio (Bonfirraro Editore, Enna, 2018, pp. 196, euro 16,90). L’Autore avverte, introduttivamente, che non si tratta di un libro di memorie e nemmeno di una storia dell’istituzione parlamentare. Solo un’attenta lettura può perciò consentirne l’esatto inquadramento.

L’Autore intende ripercorrere la sua “un po’ strana, né breve, né infeconda, esperienza parlamentare” (p. 17); e descrivere “l’ambiente” in cui si trova ad operare, come deputato, per oltre quindici anni (fra il 1976 ed il 1992). Il primo aspetto che merita segnalare è la professione di piena e convinta fiducia dell’Autore verso il Parlamento, l’istituzione parlamentare. Espressa più volte, talora in termini quasi enfatici: “Entrai alla Camera avendo il culto della memoria del Parlamento di altri tempi; una memoria ed un culto che non erano condivisi quasi da nessun altro” (p. 95).

L’ingresso di Mauro Mellini in Parlamento è del 1976: un anno importante nella nostra storia parlamentare. È varato, proprio allora, il “Governo delle astensioni”, guidato da Giulio Andreotti: un Governo monocolore, di minoranza, che può vivere grazie al decisivo voto di astensione di uno schieramento parlamentare assai consistente. Più tardi (1978), sopraggiunge il pieno appoggio del Pci al Governo, ancora guidato da Andreotti. Sono gli anni della “solidarietà nazionale”.

Le “larghe maggioranze” parlamentari che caratterizzano quella stagione politica, non possono non condizionare il funzionamento ed il ruolo stesso del Parlamento, sede della naturale dialettica politica fra schieramenti contrapposti. Dette maggioranze sottendono, in genere, un assetto politico di tipo “consociativo” nel quale sono i partiti politici a prendere il sopravvento, rafforzando il proprio ruolo decisionale: le Camere divengono spesso cassa di risonanza di discussioni e di decisioni assunte al di fuori di esse. L’Autore è fortemente critico su questo tipo di assetto e riafferma con convinzione la concezione liberale classica imperniata sulla centralità del Parlamento. In tale contesto, un ruolo fondamentale è assegnato al parlamentare, considerato anzitutto come singolo, ancorché appartenente ad un Gruppo e ad un Partito. Sul punto, alcuni riferimenti appaiono di grande interesse: quelli, in particolare, all’ “autonomia dei deputati” ed all’“eguaglianza di tutti i parlamentari”, rispetto ai Gruppi ed ai Partiti di appartenenza.

Osserva Mellini: “La concezione tradizionale, classica, del Parlamento e del principio che ciascun deputato rappresenta l’intera Nazione importa l’eguaglianza di tutti i parlamentari. Eguaglianza giuridica, ovviamente”, (p. 38). Da tale principio – fissato dall’articolo 67 della Costituzione – discende che è inconcepibile il “mandato imperativo” riproposto in anni recenti da alcuni partiti politici. È a questa concezione che si uniforma l’azione parlamentare di Mauro Mellini. Sempre iscritto a Gruppi parlamentari di modesta consistenza numerica, egli riesce a ritagliarsi un ruolo nient’affatto marginale nel proscenio parlamentare. Grazie alla vasta preparazione giuridica e politica, alla conoscenza profonda e meticolosa del Regolamento, alle notevoli qualità oratorie di cui dispone.

Molteplici sono i riferimenti, nel libro, ai suoi interventi, sia in Aula che in Commissione ed alla promozione di numerosissime interrogazioni ed interpellanze. Una funzione essenziale del Parlamento – ricorda l’Autore – è quella del controllo (p. 72): la salute dell’Istituzione parlamentare – precisa – si misura sull’efficacia del sindacato ispettivo svolto dal Parlamento.

La battaglia in difesa del Parlamento e delle sue prerogative non esclude – secondo Mellini – in alcuni casi, il ricorso ad uno strumento che può apparire un abuso di tali prerogative, ossia l’ostruzionismo. Mellini ne giustifica l’impiego (in limitati casi, evidentemente) richiamandosi ai precedenti storici di fine secolo XIX: “L’ostruzionismo, l’estrema difesa contro la sopraffazione del numero, per i diritti fondamentali di libertà”, costituiva “un precedente storico che nobilitava la vita del Parlamento…” (p. 95).

Fra le vicende ricordate nel libro vi è quella del tentativo di fare approvare dal Parlamento una legge di modifica della Legge Reale per evitare lo svolgimento del referendum abrogativo di quella legge, già indetto. Ricorda Mellini che il progetto di legge fu assegnato alla Commissione competente, in sede legislativa. Così che, una volta approvato, sarebbe divenuto legge senza passare per il voto dell’Aula. L’approvazione era tuttavia necessaria in tempo utile per bloccare l’iter referendario. L’azione ostruzionistica ebbe effetto ritardante ed il referendum poté svolgersi. L’apporto di Mauro Mellini fu in questo caso decisivo, con una presenza ininterrotta in Commissione, anche nelle ore notturne.

La pratica ostruzionistica, in quegli anni, ha un suo rapido affinamento tecnico. Ricorda Mellini: “Battei il mio primato personale parlando in Aula per 7 ore e tre quarti filati” (p. 98). Gli abusi a cui essa si presta, tuttavia, indurranno più tardi la Camera a modificare il proprio Regolamento, col contingentamento dei tempi delle discussioni, e la limitazione degli interventi…

Nel caso della Legge Reale, peraltro, l’ostruzionismo appare come una reazione all’abuso dell’azione parlamentare, quando questa voglia sostituirsi allo strumento referendario già attivato. Mellini, tuttavia, non manca di criticare - riferendosi agli anni successivi - “l’esaltazione sconsiderata e disorganica della cosiddetta democrazia diretta” (p. 116), e perciò gli eccessi nel ricorso al referendum come mezzo di lotta politica.

La difesa della centralità del Parlamento sembra accentuarsi quando Mellini parla del diffondersi, nella società, delle tendenze antiparlamentari. A partire da un certo momento (metà anni Settanta), queste tendenze si rafforzano, spesso motivate dagli abusi crescenti del ceto politico.

I costi della politica, indotti dalla sua burocratizzazione e dalla struttura elefantiaca di molti partiti, favoriscono il diffondersi del fenomeno, che avrà un significativo momento di affermazione nella vicenda del referendum sul finanziamento pubblico dei partiti: contro la relativa legge (difesa praticamente da tutti i partiti rappresentati in Parlamento), voterà ben il 44 per cento degli italiani.

La critica, anche severa, verso gli eccessi del sistema dei partiti va tenuta ben distinta – nella visione di Mellini – dal giudizio sul ruolo del Parlamento e sulle prerogative attribuite dalla Costituzione ai parlamentari (cfr. artt. 67-68 Cost.). Tanto è vero che l’Autore ribadisce (p. 133) il giudizio fortemente negativo - più volte esternato in varie sedi - sull’abolizione dell’autorizzazione a procedere per i parlamentari. Un istituto posto a tutela del delicato equilibrio fra i poteri dello Stato.

La forte ed appassionata difesa dell’istituzione parlamentare emerge, insomma, come il tratto uniformemente riscontrabile nelle pagine di questo libro. Vi è una notazione, fatta quasi incidentalmente, che appare emblematica, al riguardo: quando si parla dell’episodio dell’ingresso del leader palestinese Arafat a Montecitorio, dove era ospitata l’Associazione Interparlamentare, fra imponenti misure di sicurezza (con momenti di tensione per la presenza di uomini armati). Nota Mellini: “Considerai sempre questo uso diverso delle aule parlamentari una sciagurata forma di mancanza di quel senso di rispetto della sacralità civile di certi luoghi, che pure fa parte, o dovrebbe far parte, della tradizione e del culto delle Istituzioni” (p. 60). Un velato richiamo all’antico concetto dell’immunità locale, storicamente riservata, nei Paesi di più antica tradizione, alle Aule parlamentari. In questa concezione sacrale dei liberi Parlamenti, palladio inviolabile di tutte le libertà, sta la cifra più autentica del nuovo libro di Mauro Mellini.

Aggiornato il 25 gennaio 2019 alle ore 11:27