Euro, un errore da rinegoziare

La Germania, prima dell’entrata nell’euro, aveva 15 miliardi di dollari di deficit. L’Italia aveva 69 miliardi in avanzo. L’Italia, dopo e con l’euro, ha 160 miliardi di passivo verso l’estero. La Germania ha incamerato al contrario nel frattempo 3.256 miliardi di dollari. La Germania si è arricchita grazie e tramite gli altri Stati europei con cui commercia. Solo nel 2017 ha accumulato un surplus di 297 miliardi di dollari, il doppio di quello cinese (l’economia cinese è quattro volte quella tedesca). Prima dell’euro, l’Italia esportava con una crescita media annua del 7,9 per cento, tra il 2002-2017 è stata del 2,2 per cento. La Germania è al +6,7 per cento.

Una valanga di soldi si è spostata, con l’entrata in vigore dell’euro e a causa del tasso di cambio sbagliato e drogato dall’Italia verso la Germania. Chi ha “contrattato” per l’Italia il rapporto in e con questa Europa  ci ha rovinati, affossati e distrutti. Ancora oggi nessuno lo dice apertamente è chiaramente ma, a conti fatti, l’Italia è stata progressivamente spennata, senza possibilità di tornare ad essere ricca e grande.

Va oggi reimpostata o meglio comunicata e imposta la necessità impellente e fondamentale dell’Italia di ricontrattare il rapporto e l’indice di gestione dell’euro. La moneta comune europea non deve essere abolita, ma ne deve essere rivisto il rapporto tra noi tutti Stati membri europei. Solo ricontrattando tale rapporto dell’euro con gli altri Stati (ed in questo Trump può essere fondamentale, per costringere Germania a venire a patti) il nostro Paese dota se stesso dello strumento principe che, rimodulato, le consente e permette materialmente di potere tornare a crescere.

Oggi ciò è impossibile perché si è costretti in un rapporto politico monetario errato e che ci strozza. Investimenti per le grandi opere infrastrutturali presupposti necessari per qualsivoglia ripresa e crescita non si possono fare senza un diverso rapporto monetario e la disponibilità di una politica economica autonoma ed indipendente. Adesso c’è da agire in sede europea con forza e determinazione in tal senso.

Aggiornato il 01 febbraio 2019 alle ore 13:35