Presunzione e senso dello Stato

giovedì 14 febbraio 2019


Su di un punto si dovrebbe essere d’accordo tutti: i patti, le intese che comportano investimenti a lungo termine, soprattutto se internazionali, vanno rispettati. È vero: sono previste sanzioni in caso di voltafaccia, ma questa è l’eccezione non la regola. In più - parlando della Tav - va considerato che essa mette in posa un’opera che è unica nella sua continuità strutturale e progettuale. Solo dei complessati, presuntuosi, sovranisti della domenica possono parametrare l’Italia con la Francia (che, tra l’altro, è pure una potenza nucleare mondiale). A cominciare proprio dalla democrazia rivoluzionaria: che, Oltralpe, conquistò la Bastiglia, aprendo la strada a tutte le forme di libertà democratiche, proseguendo fino alla via coloniale che fece dei transalpini una vera, stabile, potenza globale. Per arrivare fino al clamoroso “No” opposto, sulla vicenda Iraq, all’altro “guardiano del mondo”, gli Usa, in una Seduta Onu nell’anno 2003.

Ma, senza scomodare Montesquieu, la Guerra di Secessione americana, o Mitterand (“noi siamo in guerra con l’America… gli americani sono voraci: vogliono un potere non condiviso sul mondo”), il Presidente Charles de Gaulle diceva: “Faccio credere che la Francia sia un grande Paese, ma è una illusione permanente”.

Emmanuel Macron, oggi, vuole autorevolmente presiedere la Francia: non tanto portando a composizione le sue innumerevoli tensioni sociali, bensì ricevendo Vladimir Putin nella reggia di Versailles, o facendo accomodare Donald Trump per la parata del 14 luglio. La Francia è il primo Paese europeo anche per estensione geografica, il secondo per popolazione residente (dopo la Germania) e - a seguito della Brexit - è la più grande nazione d’Europa a detenere estese propaggini territoriali coloniali: che raccorda insieme con la stampa di una moneta europea-francese double-face, dal punto di vista tipografico.

È questa la grande potenza nucleare mondiale, la vera “nonna” di ogni democrazia planetaria, con cui vorrebbero avviare un risibile braccio di ferro il ministro degli Interni italiano, insieme a quell’altro “scacciapensieri” politico, di nome Luigi. Non so se i due se ne rendano compiutamente conto: hanno dichiarato guerra al Paese dell’Alta Amministrazione, a quella nazione che è in grado di sopravvivere anche senza politica; a quella Nazione - in una parola - che ora “ha la sensazione di scivolare verso l’ignoto, di non controllare più il proprio destino e di perdere la propria identità” (E. Macron).

Figurarsi se - intento in un’opera di ridefinizione della propria sovranità nazionale - il presidente francese si lascia turbare dalle minuscole perturbazioni emotive che provengono da un Paese che è soprattutto noto per la sua imprevidente instabilità umorale. Così, con Berlino che si trova impegnata a condurre la marcia dei Paesi nord-europei per far ridurre a più miti consigli i sovraindebitati governanti dell’Europa meridionale, Parigi è tutta concentrata a sterilizzare i gretti nazionalismi sovranisti ereditati - con forti nostalgie localistiche - dalla Prima guerra mondiale.

La Francia è conscia di essere una espressione universale della democrazia: che suole dispensare, graziosamente, in briciole a quei piccioni - come sono i nostri due eroi - affamati che stanno per svendere, “a prezzi di saldo”, i gioielli di famiglia. Oro della nonna incluso, sempre che trovino il cassetto in cui - conoscendo bene gli eredi - l’anziana progenitrice lo ha nascosto.


di Sante Perticaro