Il “Reddito di cittadinanza” partirà dopo l’estate?

Già il 30 gennaio u. s. vi avevamo anticipato alcune considerazioni di “economia spicciola” in ordine alle parziali ricadute di quella spesa - tipicamente assistenziale - che sarà (ove concretamente si avviasse) il “Reddito di cittadinanza”: la madre di tutte le battaglie targate Movimento 5 Stelle.

Oggi si desidera dettagliarne alcuni punti critici, che emergono già in tutta la loro paralizzante persistenza. A cominciare dal raggiungimento dei requisiti economici e patrimoniali richiesti per esercitare questo diritto. La pratica impossibilità di incrociare compiutamente le condizioni finanziarie e di possesso di beni immobili in possesso dei richiedenti, farebbe della illusione del “fidarsi” degli stessi richiedenti un punto di leva non indifferente. Anche l’altro “buco nero” che si sta notando in ordine al reclutamento dei cosiddetti “navigator” non è immune da perplessità. Infatti, ben 6mila navigator (assunti con dei contratti di collaborazione biennali, posto che per le forme contrattuali a tempo indeterminato vige tuttora la procedura concorsuale) dovrebbero già avere - nelle sedi regionali che dovrebbero ospitarli - quantomeno degli uffici, dotati di disponibilità operative che, allo stato attuale, vivono solo nella fantasia degli “sgarrupati” Centri per l’impiego.

Infine, una terza, grande, problematica (tutta ancora da comprendere nelle sue pratiche ripercussioni) l’ha avanzata l’Istat. Che ci ha reso edotti su come - di fatto - ben il 30 per cento dei beneficiari potrebbero essere le attuali “casalinghe”. Persone fuori dal mercato del lavoro da anni, debitamente separate dal marito e con figli a carico: soprattutto donne meridionali. Questa, di fatto, forma di carità di Stato sarà soprattutto finanziata con i proventi di una tassazione che graverà - in larga misura - sulle aree settentrionali della Penisola.

Un “pedaggio salato” quello che finirà per pagare Matteo Salvini.

Aggiornato il 22 febbraio 2019 alle ore 13:18