Lettera aperta alla classe dirigente che si riunirà a Verona per le famiglie

 

Il dramma della classe dirigente italiana è tutto nella sua subalternità culturale ai sistemi di potere finanziario e cibernetico: una sudditanza di cui l’attuale classe politica non ha piena coscienza, perché parafrasando Francesco Bacone “”non ha cognizione del metodo” ed è “convinta che la dissoluzione, senza metodi alternativi alla metafisica aristotelica, possa migliorare il mondo”. In pratica potrebbero anche sostenere che se la biblioteca bruciasse è meglio, poiché farebbe spazio ad un prato verde, soprattutto che loro sarebbero in grado di vigilare che il prato non diventi una discarica gestita dalla camorra.

Di fatto l’ignoranza limita nei “regnanti” la libertà di procedimento, e piega un intero popolo alle scelte bancarie e cibernetiche di multinazionali e “poteri finanziari”. Se c’è una certezza nel pensiero filosofico moderno italiano è il “metodo”, sin dal Rinascimento (che per comodità didattica poniamo come inizio del pensiero filosofico moderno) Bruno e Campanella  iniziavano ad intravvedere nell’incertezza metodica l’insicurezza che mina alla base il sistema umano, sociale. Oggi la classe dirigente italiana, così presa dalle polemiche da strada, ammette implicitamente di non avere antidoti che permettano di rimettere al centro delle politiche le cure alle angosce umane. E qui urgono esempi. La fatturazione elettronica, l’aggiornamento periodico di veicoli ed elettrodomestici a classi energetiche ed “euro”, il dialogo obbligatorio con la pubblica amministrazione e con le grandi società attraverso strumenti informatici, l’impossibilità d’usare il contante (anche operazioni di pochi spiccioli) per ordinare certificati in enti pubblici…un elenco sterminato di obblighi e pressioni burocratiche che la classe politica non sa (forse in vuole) alleviare. Un po’ perché alcuni ritengono questo sia il progresso, ed in parte perché chi dice di voler avversare l’anti-umanità è fondamentalmente privo di strumenti culturali, del metodo appunto.

Eppure un esempio è sotto gli occhi di tutto il Pianeta, la caduta dell’aereo per colpa del computer, e perché il programma non consentiva al pilota di correggere la rotta: in pratica un robot ha detto che l’aereo doveva precipitare, all’uomo non è stato concesso salvare 156 vite umane. E non è la prima volta che capita.

Rimettere a centro della politica l’opzione  umana, anche remando contro i regolamenti cibernetici e finanziari, è compito dell’uomo pubblico, di colui che ha ricevuto delega popolare. Ciò che più affligge è sapere che la sostituzione dell’uomo con la macchina passi sopra le nostre teste senza un benché minimo freno: così apprendiamo che tra sei anni metà dei chirurghi dovranno andare a zappare perché le operazioni (financo il trapianto di fegato) verrà fatto da un robot, che tra due anni le multe alle vetture le farà un satellite che riceverà la nostra infrazione tramite il computer di bordo (quindi spariranno i poliziotti), che chi non avrà un regolare contratto di lavoro non avrà titolo ad essere pagato (le banche saranno partecipi della nostra vita lavorativa per “curare” l’interesse della moneta elettronica)… Tutto questo si consuma senza che la politica si ponga il problema degli esclusi. E perché in una società con questi limiti (regole) milioni di lavori tradizionali verranno messi fuori legge. In una siffatta società il demiurgo si porrà implicitamente il problema del “diritto a vivere” per i socialmente esclusi, ovvero per coloro che non sono in grado di tenere il passo con le draconiane regole cibernetiche e monetarie. Ben si comprende come in un siffatto gioco sia fondamentale che l’Italia (e con lei tutti gli stati) riprendano la libertà di legiferare, di garantire una vita democratica al popolo. Fino a due decenni fa questi argomenti venivano etichettati come fantascienza: in una celebre pellicola degli anni ’70 s’assisteva al dominio d’un mondo in siffatta scala, oligarchia dirigente, robot e per finire infelice e frustrata umanità di strada. Oggi questo incubo prende forma, compito della classe politica dovrebbe essere proteggere chi l’ha eletta. Vico sosteneva che “la storia è opera dell’uomo ma anche di Dio”. In nome di quest’ultimo si terrà a Verona il “Congresso mondiale delle famiglie” che, auspicato da molti, potrebbe sollevare un fronte anche contro tutti i deterrenti “robotici” e “bancari” alla tranquillità familiare. 

Un mondo gestito da pochi è sulla via della sostituzione del Dio con un “Io cibernetico”. In questa rivoluzione anti-umana si cela la vera fine della famiglia, che verrebbe sostituita dalla programmazione delle nascite in laboratorio. Un strada che reintrodurrebbe la pena di morte attraverso il “suicidio assistito”: e non parliamo solo di eutanasia, ma di somministrazione del trapasso negli ospedali pubblici per chi ridotto in povertà (nei Paesi Bassi è già possibile chiedere la dolce morte per motivi economici). Allora raccogliete queste poche righe, pregne di paradosso (strumento che solo i poeti ed i filosofi sanno cogliere nella giusta dimensione), come una sorta di lettera aperta a chi farà il convegno delle famiglie. Perché l’assise veronese possa anche trasformarsi in un punto di partenza per l’autonomia dell’arte politica (come sostenevano Aristotele, Hegel e Croce) come alto grado ben individuato dello spirito. Perché solo una rivoluzione politica che ridia autorevolezza alla classe dirigente (autonomia  alla politica italiana e buonsenso nelle leggi) può salvare le famiglie e l’umanità dall’ignoranza prona a macchine e regole bancarie, trattati capestro e stupiderie via internet.

Aggiornato il 15 marzo 2019 alle ore 19:37