Caso Leone: una mia (mancata) testimonianza

Martedì scorso alle 21,15 è andata in onda una puntata di un servizio di Rai Storia sui Presidenti della Repubblica. Una puntata su Giovanni Leone. Mi avevano avvertito di ciò perché parecchio tempo prima una troupe della Rai era venuta nel mio studio per intervistarmi, nell’ambito di tale servizio in preparazione. Misero a soqquadro quel tanto che già non lo era e mi informarono, quando ero già avanti alle telecamere, che l’intervista avrebbe dovuto riguardare “l’accusa che io”, con il Partito Radicale di cui facevo parte, “avevo sostenuto in Parlamento” nell’ambito del processo a carico di Tanassi e Gui, “per coinvolgere Leone nella questione”, cosa che, come è noto, aveva portato alle sue dimissioni dalla carica di Capo dello Stato.

Risposi subito che avevano preso fischi per fiaschi e che né io, né, per quello che potevano (e dovevano) sapere gli altri del Gruppo Radicale avevamo avuto parte attiva in quella disgraziata operazione. L’intervistatore rimase sorpreso. “Ma come… Pannella fece pubblicamente le scuse per quella ingiusta accusa…”. Con la brevità imposta dalla situazione (che già mi aveva assai seccato) spiegai, richiamando alla memoria quanto oramai messo da tempo da parte, come erano andate le cose. Lo ripeto qui, visto che pare che ve ne sia bisogno.

Rimesso il processo a carico di Tanassi e Gui alla fase della messa in stato d’accusa da parte della Camera, dopo una lunga istruttoria avanti alla Commissione Inquirente nella precedente legislatura e fissato il dibattito in Aula, incominciarono a correre “voci” di un coinvolgimento di Leone. Ne parlammo al Gruppo Radicale. Pannella fece subito presente che se si apriva un “caso Leone”, “noi dovevamo essere in prima fila perché si uscisse dallo stadio delle mormorazioni e si arrivasse a formulare un aperto addebito al Presidente”. Collaborava con il Gruppo Radicale Franco De Cataldo, non ancora Deputato, ma con assiduità e forme quasi ufficiali. Con Franco facemmo subito presente che, non avendo noi fatto parte dell’Inquirente nella legislatura precedente, non avevamo la possibilità di ricavare da quanto messo agli atti qualcosa di concreto. Se c’era. Sbrigativamente Pannella rispose: “Andate ad esaminare gli atti, lavorateci sodo. Non è occasione da lasciarci sfuggire!”.

Franco riuscì a convincere Pannella ad andare a vedere gli atti. Conservati in una sala di Montecitorio. Ci trovammo di fronte a due o tre tavoli “formato bigliardo” con sopra mucchi di fascicoli. Metterci il naso era già a prima vista impossibile. Pannella rimase male ma non insistette. Io parlai in Aula dicendo cose ovvie ed accennai appena ai mormorii sul Presidente come sintomo del malessere e della sfiducia nei confronti della classe politica. Niente di qualche rilevanza. Ricordo bene (lo dissi anche al mio intervistatore), che prima dell’apertura della seduta mi recai alla buvette.  C’era Andreotti che, appena mi vide mi disse: “So che oggi sei impegnato in un’importante partita di caccia grossa”. Gli risposi: “Sono contrario alla caccia, non farò nessuna battuta”. Mi guardò in modo tale da farmi capire che ne era compiaciuto. Forse voleva dire anche altro. E che cioè la caccia l’avevano aperta altri.

L’intervistatore mi domandò come mai, allora, Pannella aveva chiesto scusa non so se a Leone o ai suoi eredi. Può darsi, dico io ora, che in effetti si sia inteso investito della rappresentanza di quanti allora a caccia c’erano andati e che confondesse quelle che erano state le sue intenzioni con quello che non era avvenuto. L’equivoco sulle “accuse dei Radicali” (se equivoco vi fu) fu dovuto al fatto che “radicali” si dicevano anche quelli dell’Espresso, che, in effetti, capeggiarono la “battuta”. Penso oggi, però, che l’operazione contro Leone fu imposta dal Partito Comunista (o da parte di esso), per “bilanciare”, disfacendosi di Leone, il Governo, votato dai Comunisti “monocolore” e presieduto da un “Uomo di Destra” quale era considerato Andreotti. Un bilanciamento accettato dalla Dc che, infatti, non mosse un dito per difendere Leone.

Non mi sono affatto meravigliato della soppressione dal “servizio” della mia intervista. Da me si voleva una conferma dell’iniziativa “radicale”, cioè del Partito, della persecuzione di Leone, che non era però la verità quale avrei potuto dimostrare e spiegare. L’ultima cosa che intendevo ottenere con la mia attività parlamentare era la persecuzione di un innocente in base a voci e supposizioni. E le riflessioni fatte mi portarono in seguito a ritenere almeno probabile che non si trattò di supposizioni e raccolta di voci, ma di una preordinata spregiudicata manovra per “far fuori” un Presidente cattolico-liberale e, per di più, giurista.

L’uso alternativo della giustizia e lo “jus sputtanandi” accessorio del potere giudiziario (nel caso, però, quello speciale) ha radici antiche.

Aggiornato il 16 maggio 2019 alle ore 13:45