Eurocentrodestra

I ludi europei sono alle porte e nell’elettore medio di centrodestra si addensano fosche nubi: è un misto tra Nanni Moretti in “Ecce Bombo” (“mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”) e Fantozzi di fronte alla tribuna politica.

Il dubbio è molto semplice: quale messaggio veicolare alla classe politica di riferimento e come utilizzare il proprio voto? Votare Forza Italia equivale a votare quel Ppe che ha guidato l’Europa in questi anni a braccetto con il Pse. Forza Italia appare come un movimento ben radicato nell’establishment e non del tutto distinto e distante da quelle euroburocrazie tanto invise al popolo italiano. In molti vedono il partito azzurro decotto, ormai spiaggiato e con un leader al crepuscolo. Però votare il movimento di Silvio Berlusconi significa anche – in chiave domestica – mandare un chiaro messaggio agli altri partiti del medesimo raggruppamento riconoscendo al Cavaliere la centralità propria di chi poi alla fine è l’unico federatore che ancora crede nel centrodestra. Votare Forza Italia significa anche bocciare in maniera tombale la fuga in avanti di Matteo Salvini, il quale ha tentato (invano) la fortuna attraverso alleanze innaturali con un Movimento di sfaccendati e buoni a nulla.

Parimenti, il voto a Giorgia Meloni equivarrebbe a smontare la bravata salviniana facendo intendere chiaramente a chi di dovere che – pur rimanendo nell’alveo sovranista e pur apprezzando politiche securitarie e nazionaliste – l’esperienza gialloverde deve finire e quindi non la si premia con il voto.

Però, al pari di Forza Italia, il partito di Giorgia Meloni non ha numeri tali da fare un rumore talmente fragoroso da impartire una sonora lezione al leader leghista che, come ampiamente prevedibile, si è cacciato in un cul de sac che rischia di travolgerlo.

Perché, se in principio l’azzardo che lo ha indotto a stringere un patto con Luigi Di Maio poggiava su due pilastri importanti come quello di svuotare di consensi i Pentastar portandoli al Governo e nel contempo sottrarli ad un’alleanza con la sinistra che avrebbe ricacciato il centrodestra all’opposizione, quello che non si comprende è proprio il motivo per il quale – finito il lavoro – il Carroccio non abbia staccato la spina.

Qualche mese orsono i grillini erano ai minimi storici, la Lega al massimo del consenso e i rapporti tra Movimento Cinque Stelle e Partito Democratico totalmente incancreniti: il momento migliore per lasciare Giggino in braghe di tela e passare all’incasso. Invece Salvini è andato oltre dando il tempo a Di Maio di organizzarsi, sabotare le iniziative leghiste, ricucire col Pd e preparare una nuova eventuale maggioranza per il dopo voto europeo.

Matteo Salvini si è sentito talmente forte da non sapersi fermare. Ma, nonostante questo, c’è qualcosa che lascia supporre che le urne possano graziarlo: si chiama accerchiamento sincronizzato da parte di tutti i gangli del potere che rischia di coagulare il consenso intorno alla Lega. Quando il potere accerchiò Silvio Berlusconi, si rese così antipatico e spregiudicato da suscitare negli elettori un senso di repulsione e di schifo per la scorrettezza con cui si stava cercando di abbattere il Cavaliere tale da allungargli la vita politica per un ventennio.

Parimenti: il Vaticano, il Tar, la magistratura ordinaria e le inchieste ad orologeria, le contestazioni in giro per l’Italia con annessi scontri, la puttanata dei lenzuoli ai balconi, il solito circo mediatico, il sabotaggio della politica migratoria, la manfrina del fascismo, i Mimmilucani e le contestazioni prosaiche nelle scuole, i “Ballasciao” alla fiera del libro sono tutti elementi che stanno coprendo di ridicolo i contestatori più dei contestati.

Siamo sicuri che l’aggressività della sinistra - che non sa governare ma che non ha nemmeno mai imparato a fare opposizione in maniera leale - non porti bene a Salvini oggi come portò bene a Berlusconi nella Seconda Repubblica? Ne sapremo di più tra qualche giorno.

Aggiornato il 23 maggio 2019 alle ore 13:08