Per una riforma radicale nel processo d’integrazione europea

 

Premessa. Si è sempre affermato (e non solo negli ultimi anni) che occorre correggere la deriva del processo di integrazione europea colmando il deficit democratico che l’ha accompagnato, trattato dopo trattato. Certamente, fino ad oggi, sono stati costruiti, dalla Comunità prima e dall’Unione poi, dei ponti che hanno scavalcato le frontiere dei Paesi membri ma fino ad oggi non sono serviti a creare il “Cittadino europeo”.

Infatti questo lavoro di integrazione ha prodotto il consumatore europeo, lo studente europeo, il banchiere europeo ma non il “Cittadino”. In tal modo non si è andati a plasmare un soggetto bensì l’oggetto di un sistema che garantisce alle persone certamente la libera circolazione e la non-discriminazione, ma non una cittadinanza identitaria. Questa costruzione, definita via via con i vari trattati, regolamenti e direttive, rischia di crollare sotto i colpi di una crisi economica imprevista e di una globalizzazione incontrollata: le istituzioni europee risultano inadeguate ad accompagnare i cittadini nella difficile fase di confronto con questa realtà odierna (migrazioni, movimento di capitali, rapida evoluzione del quadro geopolitico mondiale).

Il progetto di riforma intorno al quale deve misurarsi una matura classe politica nazionale ed europea deve partire dalla constatazione che i pilastri posti alle origini sono stati negli anni sostituiti da un solo elemento portante: l’Euro. In questo scenario appare assai debole la posizione dell’Italia. L’attuale rinnovo del Parlamento europeo è caratterizzato da una campagna elettorale che, al di là di generiche affermazioni, non affronta i problemi che hanno determinato la crisi nella costruzione dell’Europa. Tutto ruota intorno agli equilibri politici nazionali e anzi sono presenti, in giro per l’Europa, partiti che si caratterizzano solo per essere contro altri Paesi membri, specialmente contro l’Italia.

Possibili linee di riforma

La prima esigenza è quella di alleggerire l’apparato di governo dell’Unione e ciò anche seguendo il criterio della sussidiarietà cosi presente nei trattati. Si tratta quindi di riformare la Commissione definendo un collegamento diretto fra commissario e Paese di provenienza. La Commissione, in tal modo, assorbirebbe la funzione del Consiglio dei ministri e garantirebbe un legame organico con i singoli Paesi membri. Il commissario diventa una sorta di ministro delegato dei singoli governi partner europei. L’autonomia della Commissione si riduce certamente, ma se ne avvantaggia la rapidità e la certezza della decisione che è formulata ed adottata da un organo che già sconta la volontà e le esigenze dei Paesi membri.

Altra riforma decisiva consiste nella gestione del bilancio europeo. Esso dovrà risultare come una sorta di bilancio consolidato fra le risorse destinate dai programmi comuni attuati nei singoli Paesi. Non ci sarà più una distribuzione di fondi dal centro (Bruxelles) alla periferia (Paesi membri) né ovviamente un passaggio in senso inverso, cioè dai membri verso l’Unione se non per le spese di funzionamento dei vari organismi comuni. Questa politica di bilancio incide ovviamente sul principio della solidarietà finanziaria, ma solo in parte. Infatti molte politiche comuni potranno proseguire su base nazionale, attraverso quei fondi nazionali prima destinati a Bruxelles ma nella quantità che ogni Stato membro avrebbe dovuto versare al centro. Ovviamente ci saranno sempre dei versamenti nazionali che andranno all’Unione, come per le già citate spese di funzionamento e per particolari programmi di emergenza. Fra i programmi che esigono una gestione unica ci sono quelli relativi alla sicurezza; in tal senso dovrebbe trovare posto un servizio di Intelligence unificato che costituisce il presupposto per un Esercito europeo. Non si tratta, quindi, di una forza militare europea con divise, musica e bandiera da far sfilare nelle feste nazionali, bensì di un sistema integrato di difesa attraverso un coordinamento degli eserciti nazionali. Tale coordinamento sarà effettivo ed efficace solo se potrà contare su di una sola Intelligence. Ridurre e snellire le spese generali, alcune delle quali sono inaccettabili, come quelle per gli spostamenti del Parlamento europeo e per quegli apparati la cui funzionalità ed indispensabilità, è purtroppo ben nota.

Va consolidata la libertà di mercato e larmonizzazione fra i Paesi membri: in tal senso va consolidato il mercato unico, per affrontare le sfide che la mondializzazione ci pone sia come Europa sia come Italia. È evidente il fallimento del progetto di una Europa soggetto unitario dopo la bocciatura del Trattato Costituzionale e con il progressivo sfaldamento del processo federativo dovuto anche all’eccessivo allargamento. Occorre, allora, costruire una Europa di “servizio” per i Paesi che ne fanno parte, capace di aiutare i suoi componenti ad affrontare le sfide del mercato e del nuovo scenario geopolitico. Oggi ciascun Paese membro vive, rispetto al momento della sua adesione, una situazione profondamente cambiata sia sul piano politico, sia su quello economico: certamente questo mutamento è enorme per i Paesi fondatori. Anche dopo ogni successivo allargamento si può dire che le condizioni e le volontà dei popoli dei singoli Paesi che hanno aderito si sono modificate. In questo senso va anche compresa la Brexit e le tensioni se segnano spesso le relazioni di molti partner con Bruxelles.

È soprattutto sul piano culturale e sociale che l’Europa è cambiata: oggi viviamo in una realtà multietnica, multiculturale, multirazziale, multi-religiosa, multi-linguistica. Occorre adeguare le istituzioni a questa novità, definire una nuova Europa che sappia aprirsi al cambiamento intervenuto. Sarà un processo lungo e difficile, ma la realtà va rispettata. La realtà è sovrana e padrona assoluta: il reale si presenta a noi tramite l’evento così come viene, non si impianta intellettualmente. Per questa nuova Europa, un ruolo decisivo sarà quello relativo ai temi della sicurezza, delle migrazioni e in primis del Mediterraneo. Proprio sul fronte Sud si schiude per l’Europa la prospettiva per uno sviluppo economico e politico per tutti i suoi Paesi membri. In questi ultimi anni la questione mediterranea ha condizionato le relazioni fra i Paesi membri sia per la qualità delle relazioni con gli Stati africani della sponda sud e mediorientali, sia per il vasto fenomeno delle migrazioni.

La nuova Europa può e deve affrontare la questione Mediterraneo aprendosi alla possibilità di un rapporto più stretto, utile ad entrambe le economie considerando le risorse disponibili nei Paesi della sponda Sud e le opportunità di investimenti con tecnologie avanzate da parte dei Paesi europei. L’Africa è ormai interessata da una estesa presenza della Cina nella sua economia che si aggiunge a quella Usa da tempo consolidata. I Paesi della costa mediterranea (dal Marocco all’Egitto) guardano all’Europa con preoccupazione ed interesse. Ora deve essere tutta l’Unione che orienta verso questi Paesi la sua attenzione aprendosi a forme di integrazione economica e non solo.

Nel tempo non si potrà fare a meno di instaurare, fra le due sponde di questo nostro mare, rapporti che insieme a quelli già avviati con la Turchia portino a completare una interazione euro mediterranea. Questa appare la sola via adeguata per uscire dal pericolo di incontrollate migrazioni e della presenza di una più vasta diffusione dell’islamismo di tipo jihadista. All’Italia compete il compito non facile di orientare tutti i Paesi dell’Unione verso questa direzione. L’opinione pubblica non è al momento favorevole ad una simile scelta, ciò è ben chiaro, e non lo è un po’ dappertutto, dalla Scandinavia a Malta, ma non ci sono alternative. Gli avvenimenti ci impongono di capire tutto ciò semmai si tratta di prepararsi e di porre condizioni e regole chiare: la cultura e la pratica dei diritti e delle libertà deve valere per tutti, quindi reciprocità nelle libertà - da quelle religiose a quelle della non discriminazione, da quelle economiche a quelle dei diritti umani.

La storia - a partire da Roma - ci aiuta a capire come rendere attuale un simile progetto e gli avvenimenti di questi anni, per lo più negativi, ci hanno dimostrato la nostra impotenza a prevenirli, ma dipende da noi di farvi fronte. A noi compete essere puntuali rispetto al nostro tempo!

L’Italia per avere una vera immagine di Paese europeo leader, deve prendere in mano la gestione del mediterraneo, con tutti i Paesi rivieraschi. Francia e Germania dettano le linee guida dell’Europa con la Commissione europea. I Paesi dell’Est fanno la loro politica, finito il comunismo volevano un protettore è per questo che guardavano alla Nato. La soluzione l’hanno trovata entrando nell’Unione europea. L’Europa è multirazziale, multietnica, multilingue, multi religiosa, multiculturale. L’Europa scarica sull’Italia il problema degli immigrati. L’Africa del Nord, oltre che partecipare allo sviluppo dell’intera Europa, aderendovi, potrebbe filtrare/gestire, quelle persone che dall’Africa sub-sahariana intendono portarsi in Europa. I problemi religiosi, evidenti, avrebbero un loro spazio dove le Chiese si devono dar da fare (in tutti i sensi), per i loro fedeli, per mantenerli ed acquisirne dei nuovi. I diritti umani, già molto violati in questi ultimi anni, potrebbero essere anche delegati alle religioni o agli Stati stessi con una carta “suprema”, che rispecchi le tradizioni. L’Europa avrebbe così tre aree: Nord-Sud-Est ed al Sud l’Italia potrebbe avere un ottimo ruolo, al contrario di oggi. Gli interessi in tutti i Paesi così accorpati, dovrebbero essere comuni. L’esercito comune è coordinato in sede europea, in una branca della Commissione Europea e veste i colori dei singoli Stati; l’intelligence lavora per tutti. La reciprocità appianerebbe tutto: io vengo da Te e Tu da me. I soldi non dovrebbero andare più in giro, gli Stati realizzano il progetto europeo e spendono direttamente nel proprio Paese. Tutti sono contenti.

(*) Architetto e già eurodeputato

 

Aggiornato il 31 maggio 2019 alle ore 17:01