Il collo dell’imbuto

Forse scavalleranno luglio e l’infrazione, ma a settembre con la Finanziaria non si scappa, sarà quello il collo dell’imbuto dove finiranno proclami e infingimenti, promesse e ipocrisie.

La manovra di fine anno, infatti, ad essere ottimisti non costerà meno di 40 o 50 miliardi, e pensare di risolverla col recupero fortuito di qualche soldo dal reddito di cittadinanza, quota 100 e dalle entrate, è ridicolo. Ammesso pure che il risparmio, il tesoretto, fosse di 5 o 6 miliardi, saremmo appena al 10 per cento del necessario, e il rimanente 90 per cento dove lo troviamo?

Insomma, siamo seri, come serietà dovrebbe esserci quando si cerca di camuffare le poste di bilancio per farle passare come “inosservate”, parliamo dello spostamento degli 80 euro dalla spesa alla fiscalità, se non è zuppa è pan bagnato. Qui non si tratta di fare il gioco delle tre carte, dell’illusione, si tratta di fare i conti con la ragione, vale per il bonus di Matteo Renzi, ma anche per le chiacchiere sulle agevolazioni che rischiano di diventare i carri armati di Mussolini. Sia chiaro, un disboscamento e un riordino delle tax expenditures andrebbe fatto eccome, ma dentro una riforma della fiscalità e dell’indirizzo progettuale del fisco, altrimenti saremmo alle solite: una toppa pericolosa e basta.

La realtà è che anno dopo anno vengono a galla le vere ragioni del debito stellare, quelle che si è sempre cercato di nascondere e tamponare con pezze a colori peggiori, con forzature di bilancio, con la polvere sotto il tappeto. Dagli anni Settanta all’inizio degli Ottanta, ma non solo, si è fatto strame del futuro del Paese, dei giovani di allora, delle risorse, della programmazione economica e dello sviluppo del sud. Parliamo della previdenza, delle baby pensioni, dei privilegi e degli scivoli vergognosi per categorie di Stato, parliamo della Cassa per il mezzogiorno, del ripianamento delle PPSS, della proliferazione di enti e aziende inutili. Parliamo dei finanziamenti a pioggia per ragioni elettorali, del clientelismo per il posto fisso, dei prepensionamenti in stile “Olivetti”, delle follie sulla lira per difenderla dal marco agli inizi degli anni Novanta. Parliamo dell’ingresso nell’euro con un cambio masochista, delle privatizzazioni a regalo, parliamo degli scandali; insomma, abbiamo fatto spesa e debito a piacere, non per la crescita, l’investimento sano, le infrastrutture del futuro, per le riforme necessarie all’efficienza e alla competizione. Abbiamo solo pensato all’immanente elettorale, a risolvere contese sindacali senza uno straccio di lungimiranza, considerato il territorio un’area clientelare anziché una geografia da sviluppare e valorizzare per l’occupazione produttiva piuttosto che quella assistenziale.

Per farla breve, né più né meno di quello che vediamo oggi con i pentaleghisti, il reddito e quota 100 rispondono solo a logiche di voto, di bacino elettorale, e non hanno nulla di prospettico industriale, di crescita funzionale. Ecco perché siamo alle solite, alle toppe, alle acrobazie contabili, all’emergenza sistematica dei conti, abbiamo sempre bruciato risorse scelleratamente, perfino le patrimoniali che ci sono state e che ci sono servono solo a tamponare, ad aiutare il troppo pieno e basta, roba da matti. Servono le riforme, il coraggio della verità, la riscrittura del sistema paese, serve un piano straordinario di rilancio e risanamento. Eppure si potrebbe fare e bene, perché l’Italia nonostante tutto dispone di mezzi, asset robusti, fondamentali ed eccellenze uniche, ma servirebbe il manico, la capacità, la competenza. Servirebbe l’esatto contrario di questa scriteriata alleanza.

Aggiornato il 14 giugno 2019 alle ore 11:06