Il Ponte Morandi: monumento all'Italia che non vuole crescere

Un anno fa, il 14 agosto, crollava il Ponte Morandi di Genova. Il crollo è stato una tragedia che ha ammazzato 43 persone e ha travolto per sempre la vita delle loro famiglie e dei 566 sfollati. Ma è stato anche uno stress test sulla tenuta infrastrutturale, politica e regolatoria del nostro paese: che ne ha rivelato tutte le debolezze.

L’unica buona notizia riguarda i lavori di demolizione e ripristino che, per ora, sembrano rispettare la tabella di marcia. Merito del team del Commissario, il Sindaco Marco Bucci, e delle imprese coinvolte. Ma è troppo poco per parlare di una storia di successo. La ricostruzione, infatti, avviene nella cornice di una deroga da qualunque altra norma in vigore, e denuncia essa stessa l’inadeguatezza del nostro quadro regolatorio: se vogliamo che le opere siano realizzate, dobbiamo sospendere il diritto (con tutti i rischi che questo comporta). Non solo. Questa deroga così ampia è stata resa necessaria dalla pervicacia con cui il Governo si è opposto a seguire la strada più ovvia, cioè affidare al concessionario (Autostrade per l’Italia) l’esecuzione dei lavori, nell’attesa di accertare le responsabilità e comminare eventuali sanzioni. Invece, l’esecutivo ha da subito avviato la procedura per la decadenza della concessione (della quale si sono poi perse le tracce) e addirittura escluso Autostrade dagli appalti, con una decisione senza precedenti. In pratica, una condanna pregiudiziale e priva di qualunque criterio di proporzionalità.

Intanto, l’inchiesta della Procura di Genova prosegue ed è solo in quella sede che si possono individuare le eventuali colpe del concessionario. Solo su quella base si potranno irrogare sanzioni, che potrebbero arrivare – in questo caso – perfino alla cessazione anticipata della concessione in caso di gravi negligenze. Questa deviazione dal percorso più lineare ha avuto dei costi enormi per il paese. Non solo perché ha rallentato l’avvio dei lavori negli istanti immediatamente successivi al crollo, ma anche perché ne ha messo in dubbio la credibilità. Siamo stati, ancora una volta, un paese dove non le regole non sono note in anticipo e il diritto si applica à la carte.

C’è un ulteriore aspetto: la ragione per cui il crollo del Ponte ha isolato Genova e inferto un duro colpo all’economia di tutto il NordOvest è che il viadotto sul Polcevera era l’unica via di grande scorrimento est-ovest. Un progetto alternativo, quello della Gronda, era in discussione da decenni, e veniva bloccato da veti assurdi. Tra l’altro, a differenza di quanto si è detto, la Gronda non ha bisogno di finanziamento pubblico, perché si finanzia attraverso il gettito tariffario. L’incapacità del paese di adeguare la propria rete infrastrutturale è emersa, in questa circostanza, in tutta la sua portata. Ed è un triste paradosso che uno degli ultimi atti del Governo Conte sia stato proprio negare il via libera alla realizzazione della Gronda.

L’Italia è un paese che non vuole né crescere né cambiare. La vicenda del Ponte Morandi ne è la metafora perfetta.

Aggiornato il 19 agosto 2019 alle ore 13:33