Da Renzi a Renzi

Bentornata, Signora Politica. Parliamo, dunque, della Pentola del Diavolo. Nel 2016, l’allora asso pigliatutto, segretario del Partito Democratico e primo ministro, Matteo Renzi chiamò un clamoroso “banco” di baccarat chiedendo al popolo italiano di plebiscitare la sua riforma costituzionale (con un referendum che, tra l’altro, si era chiamato da solo!), capace di creare surrettiziamente una sorta di Repubblica monocamerale presidenziale (con un Senato che faceva di figurante) in cui chi avesse preso il 35 per cento alle elezioni avrebbe avuto le redini del Parlamento e del Governo, eleggendo anche il Presidente della Repubblica qualora quest’ultimo fosse a metà mandato all’inizio legislatura. Fallita quell’impresa per l’opposizione del 60 per cento dei votanti, al Diavolo come al solito è venuto a mancare il coperchio per portare a casa un sistema para-presidenziale. Si noti, in questo senso, che nel sistema francese a Macron è stato sufficiente assicurarsi un 25 per cento dei consensi per andare al ballottaggio e vincere la lotteria dell’Eliseo. Allora, non restava al poveretto che ricominciare a fabbricarne un’altra. Già, ma quale, vista dal suo “buen retiro” del Senato della Repubblica? Consumata la sua abbondante scatola di popcorn (modalità renziana per dire “Sto alla finestra, per il momento”, quando si formò il Governo M5S-Lega), ecco presentarsi l’occasione del Faust.

Matteo Salvini si era raccomandato l’anima al Diavolo perché il Pd, una volta che lui, il Capitano, avesse chiamato “banco” rompendo prematuramente l’alleanza con i grillini, avesse assecondato la sua strategia di elezioni anticipate senza tentare un accordo in extremis con il M5S. Tutti sanno poi come è andata. L’occasione d’oro è arrivata con le elezioni europee del 2019 che Salvini, erroneamente, credeva di avere stravinto. E invece no. Il sovranismo aveva fatto sì tremare i poteri forti europei ma non aveva vinto. Malgrado lo schieramento popolarsocialista, più verdi e liberali, fosse uscito malconcio dalle urne tuttavia era ancora in grado di esprimere il suo candidato alla presidenza della Commissione. Ma per fare ciò, mancavano due cose: un nome vincente e una manciata di voti. Ed ecco che dal cappello di Macron usciva la candidatura della franco-tedesca Ursula Von der Leyen, ministro della difesa del Governo Merkel e quindi perfetto nel ruolo. Ora, restava da portare o la Lega nei popolari per convergere sulla candidata di Macron-Merkel, oppure convincere il Movimento a garantirle i suoi voti, in cambio dell’imminente “Ribaltone”. Perché, ragionava il Diavolo, Salvini non aveva i voti per fare una nuova maggioranza in Italia con il Pd, e con Berlusconi esistevano 20 lunghi anni di odio che sconsigliavano di tentare la carta del Governo di salute nazionale.

Tra l’altro, l’emorragia elettorale del Pd non aveva beneficiato nessun altro tranne i Cinque Stelle. Conclusione: solo questi ultimi avevano un’anima di sinistra da recuperare e con cui dialogare. Così, con ogni probabilità, si è utilizzato come ambasciatore e trait d’union il renziano Sandro Gozi, eletto in Europa con la lista di Macron, per tentare con successo il Gambetto di Re. Mancava il coperchio. Allora, ecco nascere un patto di ferro Pd-M5S per una nuova riforma costituzionale in 5 mosse (punti), sulla falsariga del tecnopopulismo che noi ingenui credevamo contro natura. Invece no, come ha ribadito anche il Financial Times in data 6 settembre: si tratta di un ibrido che nasce da un comune Dna dell’antipolitica, che ha però due versi i quali, in questo modo, combaciano in un cerchio perfetto di potere. Vallo a dissolvere ora... Entrambi infatti prevedono (v. riforma costituzionale abortita di Renzi) di fare fuori il parlamentarismo. E forse hanno ragione loro.

Tra i cinque punti dell’accordo per sforbiciare il numero dei parlamentari rilevano: l’introduzione della sfiducia costruttiva; la riduzione del numero di delegati regionali che partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica; la partecipazione dei Governatori a Palazzo Madama quando vengono discusse norme riguardanti le regioni; la parificazione tra elettorato passivo e quello attivo (quindi: voto ai diciottenni e venticinque anni per essere eletti al Senato); voto fiducia in seduta congiunta, per limitare i pericoli derivanti dalla presenza di “numeri” diversi a Montecitorio e Palazzo Madama. Ecco il coperchio del Diavolo! Da Renzi a Renzi. E il cerchio si chiude!

Aggiornato il 11 settembre 2019 alle ore 12:15