Il gioco dell’oca da Di Maio a Renzi

Conoscete il Gioco dell’Oca? No? Poco importa. Su un tabellone è tracciato un percorso a forma di spirale e il giro delle caselle è determinato dal lancio dei dadi, per cui, molto spesso si torna alla casella di partenza. L’Oca è, in questo quadro, Grillo (solo che gli animali, assai migliori di noi, lanciano richiami, mentre invece i grilli nostrani articolano i “Vaffa”!) e il dado è Renzi: si lancia da Rignano o dal Senato e, poi, la perfidia e la sorte truccata dettata dal suo autore determineranno l’outcome, ovvero il risultato di un processo, in questo caso l’inizio e la fine di un percorso politico. Così Di Maio perde e si ferma per un giro, confinato nella comoda casa della Farnesina. Lunga premessa e metafora per dire cosa? Semplice: in questo momento storico, Grillo e Renzi sono divenuti oggi il Giano Bifronte della politica italiana, sodali e compari del Gioco delle Tre Carte. L’uno mescola (Renzi), l’altro fa finta di puntare e vincere cospicue somme per attrarre i gonzi: soldi che fanno parte di una cassa comune creata dai voti validamente espressi dagli elettori italiani…Secondo voi, il “Garante” ha deciso di ibridare i suoi Cinque Astri con il Pd (fino a stemperarli gli uni nell’altro) solo per sfilarsi dalle sabbie mobili del Papeete? O vale anche per  il Movimento il detto andreottiano de “Il Potere logora chi non ce l’ha”?

La progressiva ibridazione del M5s con il Pd colloca definitivamente il primo nell’area di sinistra portando con sé tutti i frutti dolci del Potere, tra cui: il “mining” (approvvigionamento) delle competenze; l’utilizzo surrogato (che transita cioè per la conduzione dei ministeri attribuiti al Movimento) delle leadership dirigenziali e burocratiche, formatesi e stratificatesi nel tempo con l’esperienza pluridecennale di governo del Pd che, ricordiamolo, vinse qualcosa con l’Ulivo di Prodi per poi abbarbicarsi al Potere con esclusive manovre di Palazzo. Va detto che queste espropriazioni della volontà popolare furono in tutti i modi favorite da presidenti della Repubblica pro tempore eletti con il concorso fondamentale dei voti del Pds e dei suoi succedanei, incrociati con i democristiani di sinistra, i quali a loro volta, scambiati per pesciolini biancorossi, si sono rivelati dei veri piranhas (vedi Renzi, Gentiloni, Letta Enrico, Franceschini e bella compagnia cantando) che hanno divorato dall’interno quel che restava dell’antica schiatta politica comunista. Ecco perché anche oggi per il Pd è di fondamentale importanza assicurarsi una maggioranza che elegga il successore di Mattarella!

Ma qui, giocherà la sua parte da protagonista l’esoterismo del M5s che ha sempre preteso di candidare al Quirinale personalità nettamente super partes e indipendenti, come lo scomparso Stefano Rodotà. La mossa quasi disperata di Grillo, però, come ben sappiamo è stata favorita, anzi realizzata in radice, dal lancio del dado truccato renziano che prima aveva finto di essere il più acerrimo nemico dei Cinque stelle, per poi atterrare comodo e morbido sull’erba vellutata del Conte-bis e da lì, da bravo Scorpione di Rignano, avventare il suo bel colpo di coda della scissione soltanto dopo che la Rana Gialla lo aveva ormai condotto in salvo sulla spiaggia dell’antisalvinismo e del non ritorno alle elezioni, a seguito della mossa sciagurata e suicida del segretario leghista. Quel Matteo Lo Scuro, cioè, accecato come una talpa dai sondaggi favorevoli e convinto di vincere la partita con il suo probabile ma futuribile 40 per cento che gli avrebbe assegnato la maggioranza assoluta in Parlamento per governare con le.. “mani libere”! Ma, a questo punto, dove andrà la parte anti-Pd del M5S? Probabilmente convergerà nel futuro populismo ben temperato del Salvini 2.0, fedele al motto: “meno grida belluine e più fatti”.

Aggiornato il 20 settembre 2019 alle ore 12:10