Di un leader neanche l’ombra

mercoledì 16 ottobre 2019


Dopo dieci anni dall’ultimo confronto di quelli che lo stesso Bruno Vespa ha definito essere, all’epoca, due ragazzini, Matteo Renzi e Matteo Salvini, arieccoli, si ripropongono al pubblico televisivo di quei pochi che dopo l’orrenda débâcle agostana dell’unico Governo veramente votato da quasi un decennio hanno ancora voglia di starli a sentire. Ma siamo sicuri che non lo siano ancora? Due ragazzini, intendo.

A parte la malaugurata scelta dell’outifit, entrambi con il medesimo completo blu con camicia bianca e cravattina troppo stretta benché fashion, che sembravano essere usciti da una puntata de “Le Iene”, dobbiamo ahinoi concordare con Renzi: esteticamente sono migliorati, ma purtroppo solo quello, ahiloro.

Quelli che fino a una ventina di anni fa facevano scalpore nell’opinione pubblica come sfide, confronti all’americana tra candidati alle elezioni, presidenziali o meno, ieri a “Porta a Porta”, che da almeno un decennio è l’unico pulpitone nazionale degno di nota specialmente nell’era dei programmi cosiddetti populisti o sovranisti, sono stati declassati ad acqua fresca: ieri sera i due pretendenti sono sembrati solamente due pugili suonati. Dsds – dsds

Lo smalto non era dei migliori per nessuno dei due, il leghista è apparso stanco, indubbiamente provato, pacato e solo a tratti incisivo ma ha fatto il suo, ha ribadito i suoi successi sull’immigrazione, unico vero cavallo di battaglia su cui si può ancora battere sul ferro, perché è caldo; l’altro ha recitato con garbo il pierino delle elementari che gioca a fare il fighetto simpatico e tira fuori le unghiette per sembrare aggressivino con due o tre - o venti - insulti buttati lì a casaccio come i denti aguzzi in bocca a un luccio.

Il risultato, per entrambi, francamente lascia molto a desiderare. Non parliamo poi di tutti quei giornalisti, guardoni, portaborse speranzosi di nomine – di cui Renzi è il mago, a differenza di Salvini che in un anno non ha piazzato praticamente nessuno, sospettiamo per incapacità o mancanza di know-how nell’occupazione delle poltrone che contano – che si sono accreditati per "partecipare" all’evento durante la registrazione negli studi Rai avvenuto nel pomeriggio di ieri: l’aria che si respirava era quella del liceo, al massimo dell’università – per chi l’ha fatta e finita, che ormai a sentire i grillini scoppiati è un demerito – quando ci si doveva far vedere alle feste che contavano, agli eventi in discoteca, per far vedere che sei figo perché “sei amico di”.

Una tristezza infinita, tutto.

Ma questo è quello che il giovanottismo ha portato nella società italiana, politica e non: abbiamo voluto scalzare i baroni e i grandi vecchi, ed era certamente ora, il problema è che non siamo stati capaci di sostituirli con nessuno di veramente capace né di veramente carismatico. Il fatto che i due antagonisti – per modo di dire – fossero d’accordo solamente sul mandare a casa Virginia Raggi, la dice lunga sul fatto che anche in tutti gli altri schieramenti il livello, lo spessore, il carisma, è bassino, laddove non inesistente: finché si giocherà alla politica dei miracolati messi lì non andremo da nessuna parte.

I limiti di uno staff comunicazione fatto di ragazzotti, e solo ragazzotti senza l’ombra di una femmina che sappia evidenziare gli eccessi di ridicolismo machista e le atmosfere da palastadio rock o incontro di boxe, sul lungo periodo si vedono tutti, così come è vera la storia che il cavallo si vede sulla lunghezza. Non convincono più i post sui social con il panino e il tortellino così come hanno stancato i "noi ci siamo", "avanti Capitano", i "ci state guardando in diretta social?", i forza qui e forza là, gli appelli a un popolo di supporters che se sa come si chiama è grasso che cola e invece si sente Keplero.

Un social media manager al novanta per cento non è e non può essere Kissinger, al massimo ti può saper proporre un piano di visibilità virtuale basato sugli insights, i grafici di rendimento, di Instagram. Praticamente il nulla, il vuoto pneumatico infiocchettato, la propaganda per donnette e ragazzini e gente che non approfondisce nulla oltre il messaggio superficiale, la politica del commerciale. Se non fosse che una nazione non è una borsetta o un paio di scarpe griffate.

Che a Salvini in molti non abbiano perdonato l’ingenuità è un dato: se sei "ingenuo", come hai candidamente ammesso in un maldestro tentativo di giustificare la più grande e madornale cavolata politica degli ultimi trent’anni, non puoi fare il leader. Te l’hanno giustificata, ma questo non te l’hanno detto.

Che a Renzi, mezza Italia che lo aveva promosso con il 40 per cento non abbia perdonato la spocchia o presunzione o delirio di onnipotenza che dir si voglia, è un altro dato: puoi fare il simpatico quanto ti pare, non ti perdoneranno di aver frantumato la sinistra italiana per somigliare sempre di più a Silvio Berlusconi o, volendo, anche a Giorgio Mastrota (quello delle pentole). Questo succede ad avere intorno solo yesmen con la gittata di una pulce e di esempio lampante ne abbiamo avuto uno ad Arcore che è finito come è finito e ancora ce ne dispiace.

Dal confronto di ieri sera, per chi voglia essere un minimo obiettivo e non accodarsi alla solita pletora di lecchini che sgomitano per farsi notare, per farsi vedere, per farsi parlare dal leader di questo o quel partito in auge per consenso o per rimonta, emerge solo una cosa: di un leader, ieri sera neanche l’ombra. Neanche l’ombra di una analisi politica a lungo termine, solo la solita comunicazioncina piccola piccola sugli argomentini dell’hic et nunc, nessun ampio respiro, nessun peso specifico, nessuna innovazione né nel linguaggio né nell’immagine e neppure nel contenuto, nessun carattere, nessun carisma, solo quel sei politico che si deve dare di default a chi comunque ci mette la faccia da anni e ci prova per cambiare un Paese ormai affondato e che rischia di sprofondare sempre di più in fondo alla classifica delle nazioni libertarie e di tornare quello dei contanti nel materasso per sopravvivere.

È una politica piccina quella che si è vista ieri sera, senza grandezza, senza futuro, c’è scontento nei partiti, le basi sono in rivolta, i sostenitori delusi, c’è scontento tra la gente che è sempre più affamata e costretta da banche, banchieri e finanzieri e nessuno pensa a chi il lavoro lo dà e a chi il lavoro ancora lo cerca. Ma adesso ci sono tutor... come no. E c’è anche all’orizzonte prossimo una valanga di tasse su famiglie e imprese allo stremo e nemmeno l’ombra di un’animula vagula blandula di un Craxi, di una Thatcher o di un Gheddafi che, per quanto berbero e tribale di politica e di carattere ne capiva più di tutti noi messi insieme e ci aveva risparmiato un’invasione continentale di massa di cui pagheremo le spese per altri duecento anni se tutto va bene. O male, a seconda, e sembrerebbe che tanto bene non stia andando un bel nulla.

Quindi, prendiamone atto: i pugili non si sono suonati, ma la sveglia la facciamo suonare noi a suon di cazzotti.


di Romana Mercadante di Altamura