Cinque Stelle “spaccati”? No, ma nelle crepe ci si cade dentro

venerdì 13 dicembre 2019


Dopo la più stravagante e grottesca rissa nella coalizione di maggioranza, è venuto un voto di fiducia striminzito al Governo Conte Bis. Lite stravagante e grottesca l’ultima, perché ambedue le parti (5 Stelle e Partito Democratico) si accusavano reciprocamente di non essersi informati dell’esistenza di quella voce del “Fondo Salva-Stati” e così però ammettevano di aver votato in precedenza senza sapere che cosa.

Ma non credo che, quando si farà la storia (che sarà comunque una “storiella”) di questo incredibile Governo, oltre che enumerare le liti all’interno di quella che dovrebbe essere la maggioranza impegnata a sostenerlo, si farà anche una classifica dell’assurdità delle materie del contendere. Quel che più conta è il fatto che questa volta la rissa non si è placata con l’apertura della votazione. Se è logico che schiaffi e sberleffi che le parti si sono scambiati prima di ritrovarsi compatti a difendere, più che le poltrone di Conte e degli altri ministri, i loro stessi seggi, debbano non aver lasciato qualche traccia più o meno profonda nell’atmosfera della compagine cosiddetta “giallorossa”, questa volta la “pace fatta” al momento del voto non è stata del tutto completa. Se al voto di investitura del Governo mancò la compattezza del gruppo che aveva tracciato la nuova maggioranza costituita dall’accordo tra M5S e Pd, per la defezione “intramaggioritaria” (scusate il brutto neologismo) di Matteo Renzi e dei suoi, stavolta non solo si è sfiorato il tonfo del Governo al Senato, ma sono anche mancati palesemente alcuni voti di senatori che pare abbiano già almeno un piede nella Lega di Matteo Salvini.

Qualcuno, in televisione e sui giornali, ha parlato di “spaccatura” dei grillini. Non mi pare che il termine sia appropriato. Spaccare significa di una cosa farne due, facendo scomparire l’entità della prima. Spaccatura, no. Ma crepa, frattura, segno di un malessere più che marcato, sì.

Questo Governo, continuamente sul punto di precipitare ha, naturalmente, imparato a camminare sull’orlo del precipizio. Il che non significa che “non sia mai successo niente” e “non succeda niente”. Quando per un motivo o per l’altro andrà sotto non sarà una vera novità. Un modo simile di tirare avanti può essere considerato segno di incapacità ed al contempo di equilibrismo notevole. Chi se ne vuole compiacere, lo faccia pure. Ma siamo fuori della normalità. Tanto che se il Presidente della Repubblica avesse contestato al Presidente del Consiglio l’impossibilità di protrarre la vita del Governo, avrebbe, a mio parere, fatto il dover suo.

C’è anche da dire, forzando un po’ la logica e mettendola un po’ a ridere, che il Governo ha dimostrato e dimostra di avere una grande riserva di ragioni per sopravvivere: c’è ancora da litigare quanto si vuole. E finché c’è lite, c’è speranza. Parlo naturalmente del Governo, di Giuseppe Conte, dei ministri, dei parlamentari che continuano a votare compatti dopo essersi scannati. Altra cosa è per il Paese, per i Cittadini, per la gente. Se qualcuno pensa che basti inventare le “sardine” o qualche altro “pesce di frittura” che esprima tutto il giubilo giocondo per il divertimento che si dovrebbe ricavare da questa commedia, sbaglia di grosso. Non siamo “sardine” in scatola, né fresche o né sotto ghiaccio.

Né vogliamo essere oggetto della spiritosaggine del cavolo di qualche capocomico di supporto e dei suoi finanziatori. Non siamo baccalà. Peggio perché chi si presta ad esserlo o farsi tranquillamente passare per tale.


di Mauro Mellini