Perdono solo il pelo e nemmeno sempre…

lunedì 13 gennaio 2020


Ci risiamo, di fronte alle sconfitte, ai fallimenti, alla perdita di credibilità, gli eredi di Palmiro Togliatti, braccio destro e sodale di Iosif Stalin, pensano per la quinta volta di cambiare simbolo e nome. Stavolta a pensarci è Nicola Zingaretti, politicamente il più debole in assoluto, tra i segretari dei figliocci del comunismo, l’ennesimo escamotage per cercare di sdoganarsi dal passato pensando che basti cambiare acronimo, sigla e bandiera per tornare vergini. Eppure, lo abbiamo toccato con mano, dal 1990 quando Achille Occhetto scodellò la prima furbata passando dal Pci al Pds, nulla è cambiato e non è stato sufficiente transitare nei Ds e nel Pd, per modificare linee, indirizzi e impostazione politica e ideologica degli allievi di Frattocchie.

Tanto è vero che lo stesso Matteo Renzi ha pagato l’incauta scelta non solo di fare il segretario del Pd, ma di pensare di poterlo modellare a sua immagine, col risultato di tatuarsi sulla pelle il marchio d’origine e di farsi impallinare fino ad essere costretto alle dimissioni prima e alla fuga dopo. Un errore tragico quello dell’ex premier che sbagliando tutto ad iniziare dall’appartenenza lo ha obbligato a subire sconfitte e mortificazioni che sul referendum hanno toccato il fondo, insomma mal gliene incolse, anche per via di un carattere presuntuoso e supponente fino alla paranoia.

Qui infatti non si tratta di cambiare il titolo del libro sperando che la gente abbocchi comprandolo in massa, si tratta di una storia politica fatta di comportamenti sempre uguali sul concetto di democrazia, di libertà, di economia, giustizia e Stato, per non dire del rispetto verso l’avversario. Per farla breve da tangentopoli, alla gioiosa macchina da guerra che solo grazie a Berlusconi non prese i pieni poteri, quelli si pericolosi davvero altroché Matteo Salvini, all’Ulivo e a tutte le fusioni successive, la matrice ideologica e comportamentale dei postcomunisti non è cambiata affatto.

Anzi la compenetrazione con la Dc di sinistra, cattocomunisti, l’ha peggiorata, perché in una sorta di sincretismo fasullo, ha unito le ipocrisie più grandi della storia, quella democristiana e quella comunista, dal moralismo, alla bugia, all’uso politico della giustizia, alla demonizzazione dei rivali. Del resto già nella drammatica stagione di tangentopoli si era capito cosa significasse l’alleanza fra cattocomunisti e postcomunisti, le prove generali del tentativo di appropriarsi del paese come unici tutori del buon governo, della morale, della democrazia contro i “furfanti e ladri “degli avversari.

Ci volle allora tutto l’intuito e la forza geniale di Silvio Berlusconi per sconfiggere quel tentativo che se fosse riuscito avrebbe aperto la strada alla sottomissione agli alleati dei soviet, al patto di Varsavia, schierati contro Israele nel conflitto con la Palestina, altroché antisemitismo della Lega.

Insomma non sono mai cambiati e tutte le operazioni sono state di facciata comprese quelle sulla Nato e sull’America, sul mercato e sull’economia, sulla cultura dello sviluppo e sull’informazione, sui giovani e sulla cultura, per non parlare della magistratura. Restano statalisti, assistenzialisti, forcaioli e pauperisti, principi della disinformazione, campioni del tassa e spendi, del clientelismo, dell’occupazione del potere, delle blandizie con i poteri forti, della civetteria col sindacato, del fisco Torquemada e dello Stato padrone.

Restano contrari alla riforma della giustizia, dalla separazione delle carriere alla responsabilità civile, all’obbligatorietà dell’azione penale, al presidenzialismo, alla presunzione d’innocenza in materia fiscale, alla sburocratizzazione, alla privatizzazione delle municipalizzate, allo Stato minimo. Oggi poi nell’alleanza coi grillini hanno trovato terreno fertile per impedire il voto, per accusare Salvini e Giorgia Meloni di ogni male come ieri con Berlusconi, per scatenare l’informazione più che mai contro il pericolo di destra, per inventarsi le sardine come salvezza e cambiamento liberale.

Eppure di libertà i postcomunisti ed i grillini sanno poco o niente, come di Luigi Einaudi e Piero Calamandrei, della cultura dello sviluppo e dell’intrapresa, del rispetto dei cittadini e dell’amore laico della patria, ne sanno così poco che cambiare bandiera per loro è l’unica maniera, perdono il pelo ma non il vizio.


di Alfredo Mosca