“Cancellato” il maggioritario di Salvini

Immaginare che la Consulta si pronunciasse diversamente sarebbe stato troppo. Dunque, tutto è andato come da copione per stoppare anche sulla legge elettorale le ambizioni di Matteo Salvini. Il tentativo maggioritario è stato “cancellato”. Sia chiaro: a pensare male si fa peccato, però ci si azzecca spesso. Del resto, questo governo e questa maggioranza sono stati messi in piedi non per salvare il Paese da chissà che cosa, ma solo per evitare che con il voto vincesse il centrodestra a guida Salvini, punto. Ecco perché ogni mossa che possa intralciare la marcia trionfale dell’ex ministro dell’Interno insieme a Giorgia Meloni e a Silvio Berlusconi, più che prevedibile è possibile. E dopo la crisi che scioccamente Salvini ha provocato nel momento più sbagliato, il soccorso di sinistra è scattato in pieno.

Basterebbe pensare al Cavaliere. Ai tempi suoi, quando viaggiava col vento in poppa e macinava consensi a gogò, i postcomunisti e i cattocomunisti gli schierarono contro tutto l’armamentario costruito in decenni di scaltra inseminazione dell’apparato pubblico e non solo. Parliamo di una tecnica astuta che il Pci, assieme alla Democrazia cristiana di sinistra, hanno adottato sin dalla nascita della Repubblica: inserire ovunque, nei gangli di Stato, pensieri allineati in grado di assicurare fedeltà e continuità. È questa la ragione per la quale la maggior parte dei segmenti pubblici che contano sono certamente più vicini al centrosinistra che al centrodestra, dalla scuola all’università, dall’informazione alla giustizia, dalla burocrazia ai grandi enti ed organismi.

Perfino il mondo economico e bancario sono stati da sempre coltivati dai cattocomunisti. Non va dimenticato infatti che per decenni gli istituti di credito fondamentali erano pubblici. Incluse le cosiddette banche di interesse nazionale. Per non parlare, ovviamente, di Bankitalia. Ecco il motivo per il quale nel nostro Paese anche quando il centrodestra di Berlusconi ha iniziato a vincere e spopolare riuscendo a governare, gli apparati fondamentali, sono rimasti legati alla storia e alla cultura cattocomunista. Per farla breve, gli elettori da una parte e l’impianto, la spina dorsale statale dall’altra: è questa la ragione per cui da noi l’alternanza democratica vera non c’è mai stata. In America, infatti, con lo Spoils system, quando cambia presidente cambia tutta l’amministrazione e molto altro.

Per guidare un Paese non può bastare il governo se l’amministrazione si mette di traverso. Soprattutto se manca una cultura liberale radicata, democraticamente bipolare a favore dell’interesse nazionale e il supporto di una costituzione semplice e chiara. La nostra Carta costituzionale seppure idealmente esemplare tutto è fuorché semplice e chiara. Al contrario è lunga, rigida e scritta, piena di belle vaghezze e proponimenti alti, che si prestano ad interpretazioni diverse ma altrettanto legittime.

Ecco perché ci siamo ritrovati con questa maggioranza di governo nonostante chi la compone avesse dimostrato l’assoluta incompatibilità, il più acuto antagonismo, la mancanza di ogni sintonia programmatica, oltreché il totale distacco dal sentimento elettorale e popolare. La strada per la vittoria del centrodestra che non solo nei sondaggi è largamente maggioritario, ma confermata dai costanti successi ad ogni tornata elettorale da quasi due anni, resta lastricata da trappole, trincee, ostacoli. La realtà è che servirebbe una riscrittura della Carta, dalla giustizia al presidenzialismo, alla struttura istituzionale, alla filosofia fiscale, al welfare, al negozio giuridico del lavoro. Questo dovrebbe essere il primo e imprescindibile punto di programma di chiunque vinca.

Visto che la sinistra, per i motivi che sappiamo, non ci pensa e non ci penserebbe mai, toccherà al centrodestra affrontare il tema per cambiare, davvero, il futuro e le speranze del Paese. Forse non sarà dopo il 26, nemmeno in caso di sconfitta di Stefano Bonaccini in Emilia-Romagna, ma il voto nazionale arriverà presto, perché la maggioranza è in disfacimento. Dunque sarebbe bene che il centrodestra anziché pensare a referendum inutili proponga una nuova Carta per togliere il tappo che blocca il cambiamento.

Aggiornato il 17 gennaio 2020 alle ore 12:04