Il fallimento dei populismi: i confini inutili

lunedì 20 gennaio 2020


Tutti falliti, populismi e liberaldemocrazie? E di chi la colpa? E perché le democrazie rappresentative acefale come la nostra, addirittura con due Camere gemelle che fanno e disfano i governi senza prima passare per il giudizio dell’elettorato, legittimate in ciò da una Costituzione cattocomunista di compromesso (da rottamare, come sarebbe stato giusto, fin dal 1992 dopo la fusione della Cortina di ferro), stanno franando miseramente, esattamente come accade alle attuali ondate di populismo umorale e privo di un progetto-nazione innovativo e visionario? La spiegazione (che vale per molti dei Paesi dell’Unione) risiede interamente nella mancanza di una visione geostrategica da parte dell’inutile vincitore della Guerra fredda, quell’Occidente da sempre diviso tra Europa e America il cui unico cemento (come accade oggi per l’ircocervo giallorosso che governa il nostro Paese) fu l’esistenza di un implacabile nemico comune: il comunismo sovietico. Dopo il 1991, una volta implosa l’Urss, Germania e Usa commisero errori storici clamorosi ed epocali rendendosi responsabili di due operazioni assolutamente devastanti, destinate ad allontanare forse per sempre la Santa Madre Russia (ricchissima in risorse naturali) dal continente europeo.

La prima, quella di Berlino, fu di costruire un rapporto privilegiato russo-tedesco per la ricostruzione della rinata nazione impedendo e sabotando di fatto, in ogni modo, una strategia solida e concreta di riavvicinamento e un grande matrimonio politico tra i due ex blocchi continentali nemici, senza mai quindi rispondere alla seguente domanda: La Russia deve o no appartenere politicamente ed economicamente al Grande Occidente cristiano ed europeo? Sarebbe stato sufficiente concepire di concerto con Mosca un progetto politico illuminato e graduale che prevedesse dapprima l’attrazione e la gravitazione della Russia in un anello più esterno e periferico dell’Unione europea, per poi nel tempo mettere in moto una sana dinamica centripeta (come si è fatto, guarda caso, per il Paesi dell’Est appena affrancatisi dal giogo sovietico!) in grado di condurre l’ex Urss verso il centro dell’integrazione europea vera e propria, con la confluenza politica, militare ed economica anche della Russia nella Ue come membro di pieno diritto. Questo fu il peccato mortale di Bruxelles e della Germania, da sempre motore di sviluppo economico e Paese-guida dell’Unione, al quale fece da zavorra nell’affondare le speranze di una nuova alleanza Est-Ovest la politica folle dei presidenti repubblicani che accerchiarono uno sprovveduto e instabile Boris Eltsin con consulenti economici estratti dalla cerchia più fanatica del liberismo all’americana.

Furono proprio questi ultimi, decisi a implementare alla svelta le loro teorie capitaliste, a distruggere letteralmente la già agonizzante economia sovietica, assoggettandola a gigantesche privatizzazioni forzate e accelerate che crearono il “monstrum” dei boiardi di Stato (con quali capitali costoro acquisirono interi conglomerati industriali e immobiliari?), nella loro stragrande maggioranza inseriti ormai da venticinque anni al sistema di potere putiniano. Da qui prese immensa forza il populismo verticista di Vladimir Putin da cui, per pura contrapposizione, originarono quelli ungherese e polacco (entrambi, a mio giudizio, non si sarebbero mai avverati se si fosse sciolta nel 1992 la Nato e contestualmente costituito un unico blocco militare di difesa comune!), seguiti poi a ruota dall’ibrido gialloverde di Matteo Salvini-Luigi Di Maio miseramente naufragato con il riflusso di entrambi, rispettivamente, nel recente “doppiopetto” istituzionale del leader leghista (governo pieno ma sotto l’ombrello legittimante della vigente Costituzione del 1948) e in quello dell’Europa a guida germanica di Ursula Von der Leyen e della successiva, mortifera ibridazione dell’M5s con il Pd zingarettiano. Tutti questi pseudo-populismi implodono, si deformano e si afflosciano progressivamente perché semplicemente non sta in piedi in nessun luogo politico l’ossimoro della leadership-anti-leadership.

Ovvero: la povertà non la si abolisce con l’Helicopter money (la manna, cioè, delle banconote gettate dall’alto sulla folla, soprattutto se non si ha alcun controllo sull’Istituto di emissione, che poi è la Bce!), né con il reddito di cittadinanza che si regge sull’altro ossimoro ti pago per cercare un lavoro che però di sicuro non c’è! Ma il nazional-populismo Giorgia Meloni-Matteo Salvini ha in se un altro virus invisibile e devastante perché postula, in buona sostanza, il ritorno autarchico dello Stato-Nazione senza avere però alcun criterio né arma vincente su come sconfiggere e ridimensionare il dragone (giallo!) della globalizzazione avendo per di più un cuore pulsante “binato”: il primo, statalista schierato in difesa dei ceti burocratici parassitari; il secondo invece più marcatamente liberista con radici nelle regioni più ricche e produttive del Nord Italia.

Dal mio punto di vista, ho spiegato e scritto più volte come, per liberare l’Italia dalla mala politica, si renda necessario gettare a mare la sua terribile zavorra burocratica, attraverso la rivoluzione delle smart-cities, dello smart working generalizzato e delle smart universities (per abbattere qualsiasi differenziale geografico e qualitativo nella formazione avanzata!) che svuoterebbero le città dal traffico urbano, restituendo per di più al mercato immobiliare molte migliaia di edifici occupati da attività pubbliche del tutto inutili dal punto di vista del contribuente, visto che più del 90 percento della produzione cartacea della Pubblica amministrazione è dedicata all’auto-amministrazione che assorbe gigantesche risorse pubbliche, danneggiando di fatto gli interessi del cittadino e delle imprese! Ma, ancora più di tutto, sta mancando al neo-populismo un progetto istituzionale rivoluzionario, che può realizzarsi pacificamente soltanto attraverso una radicale riscrittura della Costituzione obsoleta del 1948. Hic Rhodus, hic salta!


di Maurizio Guaitoli