Nei prossimi mesi conosceremo le sorti del famoso processo Trattativa. Tra aprile e maggio uscirà infatti la sentenza di appello del processo sulla Trattativa Stato-Mafia che ha segnato gli ultimi vent’anni di questo Paese e che adesso rischia di chiudersi in un nulla di fatto. Sì, perché il presunto negoziato fra lo Stato e la mafia, da anni raccontato dalla Procura di Palermo, pare possa crollare di fronte alle motivazioni della Corte di Appello che ha assolto l’ex ministro Calogero Mannino. Motivazioni che rischiano quindi di smontare tutto il teorema del processo che ad oggi vede condannati in primo grado i generali del Ros Mario Mori e Antonio Subranni, l’allora capitano Giuseppe De Donno e l’ex senatore Marcello Dell’Utri, insieme ad esponenti della mafia. Tutti colpevoli, secondo l’accusa, di aver trattato con la mafia durante la stagione delle bombe.

Abbiamo chiesto quali potrebbero essere gli scenari del processo a Vincenzo Zurlo, sottufficiale dei carabinieri, fondatore dell'associazione Legalmente Italia e autore di Oltre la trattativa. Le verità nascoste sulla morte di Paolo Borsellino tra depistaggi e bugie edito Iuppiter.

Dottor Zurlo, a primavera arriverà la sentenza d’appello sulla Trattativa Stato-Mafia. Cosa si aspetta?

Premettendo il fatto che questo processo, a mio avviso, non si sarebbe dovuto celebrare perché, non solo mancano le prove, ma faccio difficoltà a trovare anche i gravi indizi. In un sistema di giustizia giusta le direi, senza tema di sbagliare che mi aspetto una nitida assoluzione. Se penso però, che si pronuncerà il tribunale ove ha sede la procura che ha isolato Falcone e Borsellino e che è la stessa procura di Meli e di Giammanco, che a 48 ore dalla morte di Borsellino ha archiviato l’indagine mafia-appalti su cui lavorava, qualche dubbio mi viene.

Le motivazioni sull’assoluzione di Mannino che effetti avranno sulla sentenza?

Se, così come dovrebbe essere, la prova regina sarà la logica, le ripeto che mi aspetto un’assoluzione senza macchie né ombre per Mori, De Donno e Subranni, perché il fatto non sussiste e perché lo stesso non costituisce reato. Non bisogna dimenticare che l’unico elemento a favore di Di Matteo e della procura, sono i contatti tra Mori e De Donno con Vito Ciancimino. Contatti mai negati dagli imputati e di cui era a conoscenza non solo la procura di allora, ma anche lo stesso Paolo Borsellino. Tra l’altro, non si può tralasciare, che numerose sentenze, tra cui quella del Borsellino quater, che a mio avviso è quella più vicina alla verità, hanno ricondotto l’iniziativa del Ros, nel corretto alveo dell’attività che un reparto speciale d’èlite deve fare per cercare informazioni. Informazioni che, nel caso in specie, avevano il solo ed unico fine di arrivare alla cattura dei grandi latitanti, in primis Riina, e di fare una discovery nel mondo degli appalti siciliani.

Se è esistita davvero una trattativa tra lo Stato e la mafia, secondo lei hanno processato la parte giusta dello Stato?

Guardi al momento c’è una situazione che definire confusionaria è riduttivo. A Palermo si processano i carabinieri per una presunta trattativa, a Caltanissetta i poliziotti per i depistaggi ed a Messina, abbiamo, per la stessa ipotesi di reato, dei magistrati indagati. L’unica pista in cui credo è quella di Messina perché è evidente che nella gestione dei collaboratori c’è stata qualche falla. Ricordo a me stesso, ad esempio, quanto fatto da Ilda Boccassini e Roberto Saieva nella gestione del falso collaboratore Scarantino. Dopo il secondo interrogatorio si accorgono che mente e mettono per iscritto queste loro perplessità. Non solo non sono seguiti dagli altri colleghi, anzi, Palma, Petralia ed il giovane Di Matteo, decidono di investire su. Oggi, a distanza di oltre 25 anni, dalle testimonianze nel processo in corso a Caltanissetta, stanno emergendo cose di una gravità inaudita…

Tipo?

Cioè il collaboratore veniva “istruito” e, negli anomali contatti che i magistrati avevano con il “falso” collaboratore, venivano interrotte, contro ogni dettato di legge, le intercettazioni telefoniche. Ovviamente, questo per non lasciare traccia delle conversazioni. E, per finire, cosa non meno grave, colloqui fatti senza la presenza dell’avvocato.

Cosa le suscita vedere dei magistrati indagati dalla Procura di Messina per il depistaggio sulla strage di via d’Amelio?

Mi viene da pensare che Paolo Borsellino è stato tradito anche dopo morte. Ma, mi consenta, mi suscitano lo stesso sdegno, magistrati, funzionari e giornalisti che sulle stragi hanno fatto carriera senza consegnare al Paese alcuna verità.

Quali sono, secondo lei, i veri buchi neri di questo processo?

A volte mettere la toppa è peggio che lasciare il buco, non vorrei che fosse stato l’ennesimo processo celebrato per allontanare dalla verità. Io approfitto dell’intervista per girare questa domanda a Nino Di Matteo, ricordandogli il dettato dell’articolo 358 del codice di procedura penale: “Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. È stato fatto o questo processo doveva essere celebrato per forza per costruire una verità mediatica che ha fatto comodo a tanti?

Secondo lei quanta responsabilità ha avuto la politica nel non aver dato un contributo alla verità dal ’92 ad oggi?

Una enorme responsabilità, anzi sarebbe meglio dire un enorme vuoto della politica. Ritengo che difronte a tali depistaggi e manipolazioni che hanno riguardato anche elementi della magistratura, il minimo che possa fare la politica, è istituire una commissione parlamentare d’inchiesta ad hoc che faccia luce. Ritengo questa una cosa molto grave perché le reticenze ci sono state a tutti livelli, basti pensare che è rimasto inascoltato l’appello di Fiammetta Borsellino al Csm, teso a far chiarezza non sull’operato, bensì sulle evidenti responsabilità della magistratura.

Cosa significa per un servitore dello Stato come il Generale Mori, essere implicato in un processo come questo?

Il problema non è solo questo processo, ormai saranno una decina di anni che quella procura lo indaga con i capi di imputazione più infamanti. Però, è altrettanto vero, che tranne nel primo grado del processo trattativa, è sempre stato assolto, dallo stesso tribunale, con formula pienissima. Dal punto di vista emotivo, credo che all’inizio abbia provato lo sdegno e l’onta del disonore che colpisce i servitori dello Stato accusati di collusioni con ambienti mafiosi. Nel caso del Generale, vi è l’aggravante che le accuse erano mosse ingiustamente. Oggi, probabilmente la sua mente è pervasa anche dalla soddisfazione di essere riuscito a tenere testa a quella procura che ha isolato Falcone e Borsellino. Ritengo meriti gli stessi onori riservati a Dalla Chiesa di cui era non solo allievo, ma anche naturale erede.

Che cos’è “Oltre la Trattativa”?

“Oltre la Trattativa” è una controinchiesta fatta con il rigore scientifico di una vera e propria indagine. È un libro irriverente perché, per primo, ha osato dire che non è mai esistita una trattativa e che il nodo cruciale per arrivare alla verità passa attraverso il dossier mafia-appalti. Inoltre, quest’“opera di verità”, come l’ha definita l’allora direttore Giorgio Mulè nella prefazione, fa emergere per primo, le responsabilità in capo all’allora procuratore Giammanco ed ai sostituti che gestirono Scarantino.

Non bisogna dimenticare, che questo libro, ha anticipato anche la sentenza del Borsellino quater, e che, se sono arrivato io alla verità, i magistrati che se ne sono occupati, nel corso degli anni sono stati quanto meno distratti. Mi permetta però un’ultima triste considerazione.

Prego…

L’onta della vergogna l’hanno riservata non solo a Mori, ma a tutti quelli che hanno fatto lotta alla mafia ma che la mafia non è riuscita ad uccidere. Sembra quasi, che avendo fallito Cosa nostra, ci abbia provato lo Stato.

Aggiornato il 21 febbraio 2020 alle ore 12:36