Coronavirus: il dito e la Luna

Ancora a febbraio molti tribuni facevano a gara, in tivù, per minimizzare il rischio dell’epidemia, perché, in Italia, il vero pericolo non era sanitario ma quello del razzismo. Alcuni negazionisti dicevano che l’influenza “normale” faceva più vittime e, invece, al ritmo attuale, in un mese, supereremo il numero di decessi di un’intera stagione di influenza. E sostenevano che si ammalavano solo gli ultraottantenni (come fossero yogurt in scadenza) mentre l’età media dei ricoveri si è abbassata fino alla fascia attiva della popolazione, falcidiando anche personale sanitario in servizio contro l’epidemia. Altri contestavano che le misure di contenimento chieste dai governatori del Nord e da quello delle Marche (costretto a riaprire le scuole che aveva fatto chiudere) non fossero urgenti e ora in quarantena c’è tutta l’Italia.

Altri ancora argomentavano che bisognava far “correre l’epidemia” per procurare l’immunità di gregge e, ora, anche Boris Johnson – di fronte alla prospettiva di imminente paralisi dei sistema sanitario e della inabilitazione contemporanea di milioni di lavoratori dei servizi essenziali – chiude scuole, negozi, luoghi di aggregazione e dispiega l’esercito. Altri irriducibili, ancora pochi giorni fa, opinavano che il virus non si sarebbe propagato nei climi caldi e l’epidemia corre oggi, anche in piena estate, in Brasile. Altri irridevano il Lockdown italiano e, ora, sono stati costretti alle stesse drammatiche misure, praticamente, tutti i principali paesi inclusi quelli, finora, più refrattari. I critici insistevano che le misure restrittive erano inutili mentre il personale negli ospedali avvertiva di essere prossimo al tracollo e che bisognava rallentare la velocità di propagazione dell’epidemia.

Nel nostro Paese ancora ci si gingilla sull’utilità o meno di estendere alla massa i tamponi per cercare di circoscrivere i mini focolai ormai diffusi in tutto il Paese. Pratica adottata, invece, con successo in Corea del sud, e, prossimamente, forse da Donald Trump. Nonostante la partenza ritardata delle misure di contenimento, i nostri governanti si autocelebrano, a reti unificate, esibendo il proprio lato autoritario ma non autorevole: lacunosa informazione (solo i giornalieri bollettini di guerra) e inadeguatezza nelle scelte e nei metodi (come nella designazione del coordinatore della crisi non nella persona di un medico, di uno scienziato o di un esperto di Disaster recovery, ma pescandolo tra i ranghi della burocrazia parastatale).

Mentre il nostro Paese andava a Bruxelles a mendicare lo sforamento di una manciata di miliardi, la Germania, inaudita altera parte europea, annunciava interventi venti volte più pesanti, buttando alle ortiche il totem del pareggio di bilancio. La pandemia lascerà macerie in tutti i settori e non solo nel nostro Paese: la colpa sarà del virus e non delle (pur tardive e insufficienti) misure restrittive adottate. Ma i più refrattari continueranno a guardare il dito che, pure, indica una luna sempre più grande.

 

Aggiornato il 23 marzo 2020 alle ore 14:14