Quello nostro è un altro film

Lo abbiamo scritto già, in un passaggio tanto estremo da ricorrere a limitazioni tali da modificare la “normalità” costituzionale, la libertà di biasimo e di giudizio, ce la teniamo stretta e con tutto il rispetto continueremo ad esercitarla. Lo faremo perché siamo convinti che il pluralismo di vedute e soluzioni sia proporzionale alla eccezionalità delle condizioni e perché tra unanimità e unanimismo c’è la stessa differenza che tra democrazia e totalitarismo. La prima sottintende la perfetta condivisione di ogni direttiva, la seconda, invece, la ricerca impegnativa di un comune denominatore che sia la sintesi di tutti i contributi. Per questo scriviamo che il nostro film sia diverso da quello raccontato dal premier alla Camera sullo stato delle cose e delle decisioni prese. Perché parla di esitazioni e sottovalutazioni di uno scenario che era apparso subito fuori dal normale, eccezionale. Tanto è vero che le immagini di una Cina in pieno allarme rosso, come il colore di quella dittatura, spingevano a capire che fossimo dentro una iattura perniciosa da combattere senza limiti di mezzi, strumenti e ovviamente spesa.

Da noi, al contrario, si è perso tempo, contrastando le richieste di tutti quelli che dall’inizio avevano intuito la gravità del virus e le conseguenze di un supplizio tanto inaspettato quanto drammatico. Inutile fare l’elenco delle dichiarazioni e degli annunci, che minimizzavano per un verso e per l’altro garantivano una capacità d’azione e d’intervento da far credere alla gente che fossimo sereni. Potremmo parlare delle cifre indicate come terapia d’urto per la crisi, dei 3,5 miliardi diventati 7 poi 25 e poi raddoppiati solo grazie agli scudi sollevati dall’opposizione, dalla gran parte di ogni associazione di categoria e da tanti esperti d’economia. Potremmo parlare degli inviti a non sopravvalutare, delle passerelle per gli aperitivi, dei balletti di dichiarazioni contrastanti, dei decreti annunciati prima che scritti e di una esibizione del potere più legata all’ambizione che al servizio della nazione.

Potremmo scrivere d’interventi sui diritti costituzionali fatti in solitaria senza una consultazione plenaria, fra maggioranza e opposizione, per non dire che, almeno per noi ignoranti, quando si tocca la carta magari l’annuncio spetterebbe al Colle. Qui non si tratta di polemizzare, tutt’altro, si tratta di contribuire all’analisi degli errori che sono umani, per trasformarli in correzioni prima che diventino diabolici. Ecco perché il discorso del premier seppure letto bene ci è parso più una autocelebrazione che una verifica della situazione compresa qualche autocritica del governo che sarebbe stata utile ed apprezzata, da tutta la popolazione unita. Qui non si tratta del giudizio della storia, non serve l’enfasi oratoria, serve un discorso semplice e asciutto sulle necessità, le urgenze, sull’utilizzo dell’armamentario tutto per contrastare sia il dramma sanitario e ancora di più quello economico, perché passato il virus la crisi resterà.

Del resto, non dovrebbe sfuggire che la paura di una malattia, il rischio della vita per la pandemia porti naturalmente alla disciplina della gente, ma la crisi estrema dell’economia, l’impoverimento, la mancanza di lavoro e di denaro, conduca alla rabbia e alla reazione. E visto che ci si rimette alla storia, basterebbe ricordare che le più grandi reazioni, sono scaturite dalla povertà, dalle tasse, dall’economia, dal calo drastico dei mezzi di sussistenza. Dal Boston tea party dei coloni americani, alle brioches di Maria Antonietta, perché la rivolta in Francia scoppiò per il dissanguamento della popolazione dovuto al sostegno degli americani in guerra, fino al crollo del muro di Berlino, è stata tutta crisi dell’economia. Sia chiaro il nostro è solo un commento storico sull’importanza di gestire una recessione grave, una depressione senza precedenti, mettendo in campo ogni risorsa senza la paura dei conti, come dice Mario Draghi intervenendo subito e senza timore del debito allargato.

Ecco perché serve il coraggio di bloccare la fiscalità almeno parzialmente piuttosto che procrastinarla, di mettere a disposizione credito a costo zero garantito per un importo pattuito, di reperire risorse stornando quota 100, bonus elettorali, aumenti agli statali, finanziamenti ai partiti. Anzi e qui chiudiamo, sarebbe stato bello se Giuseppe Conte avesse annunciato la rinuncia almeno alla metà dello stipendio per quest’anno, delle istituzioni, dei parlamentari nazionali europei e regionali, dei super manager e burocrati di Stato che guadagnano centinaia di migliaia di euro e forse più, degli emolumenti d’oro di tante autorità pubbliche. Si dirà parliamo di poco rispetto al necessario, a parte che tanto poco non sarebbe, ma conta l’esempio, la condivisione a cui ci si richiama, conta che si può campare bene anche con 7mila euro anziché 14, con 200 mila anziché il doppio, con la metà di un compenso milionario, non credete? Essere uniti significa anche questo, che i comandanti siano i primi, dopodiché lotteremo assieme, soffriremo assieme, rinunceremo assieme e certamente vinceremo assieme. Ce la faremo, non c’è dubbio. Ripartiremo uniti e forti e quando voteremo saremo noi a giudicare piuttosto della storia.

Aggiornato il 26 marzo 2020 alle ore 11:43