La Bellanova chiede di regolarizzare gli stranieri, ma l’Italia vuole garanzie

Il web si interroga da giorni e la voce deve essere arrivata anche alla ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, la quale ha rotto il silenzio delle quarantene ponendo il problema dei lavoratori stranieri. Fin qui è tutto fermo e sospeso, ma a breve i raccolti saranno pronti, gli alberi da frutta gronderanno, nei campi le verdure saranno a maturazione. Ma chi va a cogliere?

“Ci vuole un provvedimento urgente – ha dichiarato la ministra di Italia Viva – Con la mancanza di lavoratori stagionali stranieri, rischiano i raccolti”.

La Bellanova ha dato l’allarme e ha fissato tre priorità: “Sconfiggere caporalato e clandestinità, impedire che nei ghetti, penso a Borgo Mezzanone e a varie situazioni in Campania, ci siano emergenze sanitarie, quindi garantire manodopera alle imprese”.

Un primo passo lo ha compiuto la titolare del Viminale, Luciana Lamorgese, che ha prorogato i permessi di soggiorno. Ma è solo un provvedimento tampone, a breve la questione si porrà in tutta l’emergenza. Tempi stretti, dunque, e decisioni rapide. La tenaglia si stringe.

Da una parte l’agricoltura italiana che ha bisogno di braccia, e tanto più in questo momento di stringente “made in Italy”; dall’altra la questione della sicurezza, dei protocolli sanitari rigidi, delle garanzie sulla legalità della manodopera in un Paese dove ora circolano più forze dell’ordine e militari che non cittadini.

“Non solo l’ortofrutta, ma anche l’allevamento è a rischio”, ha precisato l’esponente renziana. E ha aggiunto di aver già chiesto ai beneficiari del “Reddito di cittadinanza” di fare qualche ora di servizio civile nella filiera della distribuzione, ma le necessità si ampliano. Così, col vigore del suo carattere, ha proposto di smantellare gli insediamenti illegali e portare quei lavoratori nella legalità.

A sentir parlare di “legalizzazione degli stranieri” come primi atti del “ricomincia l’Italia”, c’è chi ha storto parecchio la bocca. E comprensibilmente, perché lo stato di fermo totale ha esasperato e messo in difficoltà tanti lavoratori italiani, titolari di aziende e piccole imprese, i quali scalpitano: “Si ricomincia coi soliti privilegi ai clandestini?”.

La rabbia è pericolosa e se non prevarrà la ragione il dopo sarà peggio di quello che stiamo vivendo. Bisogna accreditare nell’opinione pubblica la necessità di distinguo logici e razionali, altrimenti sarà solo cagnara e un tutti contro tutti. La parte sana del Paese c’è e non è pregiudizialmente contro gli stranieri, questa è fantasia. Quelle dicerie “razziste” del prima devono andare in soffitta insieme coi pochi che le interpretano strumentalmente per una visibilità negativa, mentre bisogna dare valore a quei cittadini che chiedono lavoro, sicurezza e benessere con l’unica regola dello specifico ruolo. Se ci sono italiani che hanno perso il lavoro e sono disposti a essere impiegati anche in agricoltura non devono fare la fame. E se ci sono giovani pronti a impiegarsi in intraprese sane e produttive sul food meritano fiducia, considerazione e incentivi. Il talento e il prodotto, non dimentichiamo, sono italiani.

L’offerta della nostra economia deve essere quella di manodopera (o integrazione di ruoli se necessario) formata, sicura, legale e qualificata, perché così il “made in Italy” nell’agroalimentare può veramente rifiorire. E sarebbe l’ora di una vera e costruttiva immigrazione, perché così si sconfiggono il caporalato e le mafie. Oltre al fatto che sicuramente diminuiscono anche i barconi, su cui tanti arrivano in modo pericoloso e irregolare. E se uno arriva irregolare, tale resta... e spesso peggio diventa.

 

 

Aggiornato il 27 marzo 2020 alle ore 16:16