Sette domande al presidente del Consiglio Giuseppe Conte

lunedì 30 marzo 2020


Gliele riproporremo ogni giorno, in modo da ridurre la possibilità che le sfuggano, per fare chiarezza su aspetti che ci stanno a cuore e che è importante che siano chiari anche agli italiani.

È bene precisarlo subito ed in premessa, non ho niente, nemmeno una goccia di malanimo, nemmeno un milligrammo di antipatia personale nei confronti del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, anzi lo trovo, come molti italiani, educato, elegante, sempre esteticamente in ordine, dotato di un buon italiano e di buona rappresentanza pubblica. Per taluni versi si può anche stare, ma entro certi limiti (perché si è capito il suo gioco, come vedremo dopo) dalla sua parte nella negoziazione con l’Europa, salvo il fatto che si è arrivati in condizioni tali da far pensare ad una nazione già alle corde, in posizione china, un po’ troppo esposta a predatori e avvoltoi.

E come se n’è accorto chi scrive, figuriamoci se non se ne sono accorti i cosiddetti partner europei. Peraltro, il nostro premier, ormai è stato anche brutalmente smentito dalla presidente della Commissione Ue Ursula von Der Leyen, che ha bollato i Coronabond con un commento che lascia pochi spazi all’interpretazione “sono solo uno slogan” poi corretto, quindi in realtà confermato, con un “in questo momento, la presidenza non esclude alcuna opzione entro i limiti del Trattato”, quindi un altro sonoro no e ancora “lo spazio fiscale per i nuovi strumenti è limitato”, un ulteriore no con ceffone finale, qualora si sia distratto qualcuno.

Nonostante questo, nella negoziazione con l’Europa, non si può che essere con Giuseppe Conte, non foss’altro perché siamo sulla stessa barca, ma dove ci sta portando questo timoniere, non convince affatto, e se ne possono citare i motivi. Quanto meno è stato interessante vedere la mutazione di Giuseppe Conte, dapprima avvocato del popolo, poi medico del popolo, adesso nella sua nuova doppia veste di presentatore e moderatore per il popolo, tutto questo è accaduto sotto i nostri occhi lo scorso 28 marzo, verso 19.30, nell’ennesima conferenza stampa, ammesso che si possa ancora chiamare così una cosa costruita, come quella andata in onda, con sole pochissime domande e neanche incalzanti.

Il programma di attualità condotto dal premier, con tanto di intervista e ringraziamenti al sindaco Antonio Decaro (Pd, maggioranza di Governo) in qualità di presidente dell’Anci e per suo tramite agli altri sindaci italiani, ha mostrato uno stile secondo solo a quello di alcuni conduttori di programmi, che palesemente strizzano l’occhio al governo, che deliziano le nostre serate di informazione domiciliare coatta di questi ultimi tempi. Magari in un prossimo futuro, potremmo anche ritrovarlo accanto a Fabio Fazio, in qualche trasmissione moralisticheggiante, in cui ci spiegherà quanto voglia bene agli italiani, alla loro salute, un po’ come ha fatto lo scorso sabato sera, poco prima del Tg1, interrompendo la programmazione dell’imprescindibile programma televisivo l’Eredità, cosa che non era riuscita nemmeno al presidente Sergio Mattarella.

Esistono delle regole non scritte, regole che si reggono su periodi medio lunghi, sul proprio curriculum professionale, sulla coerenza fra ciò che si dichiara e su come si agisce. Non si vuole rivangare gli sfondoni curriculari, dal “visiting professor” ad altri dettagli, emersi all’atto della prima nomina di Giuseppe Conte, né fare dei confronti con la credibilità di Mario Draghi, persona che ha fatto della competenza e della coerenza fra il dichiarato e l’agito, punti di forza talmente potenti da diventare proverbiali in tutto il mondo, sarebbe ingeneroso e anche troppo facile. Uno si limita ad osservare la coerenza fra l’agire e il dichiarare. Il nostro presidente del Consiglio spesso inizia i suoi discorsi, oppure le risposte ai giornalisti, queste sempre più rare, quanto sono più rare le domande che gli chiedono di commentare i dati del giorno, quelli esposti nella messa in onda delle 18, dicendo frasi che rimandano all’onestà, alla verità, alla trasparenza.

La retorica è quella del dirci che i dati sono crudi, ma che lui non li può eludere, perché lui è onesto, non vuole mentire agli italiani, non vuole nascondere i dati al mondo. Di che dati stiamo parlando? Che dati guidano le decisioni? Sappiamo ormai tutti, da settimane orsono, e ce lo conferma nel quotidiano il bollettino della Protezione civile, che i dati sono incerti, per non dire farlocchi, di tutto ciò ne ha anche parlato e scritto in questi giorni qualche giornalista fuori dal pensiero unico, uno di quelli che difficilmente Casalino si guarderebbe bene di invitare nelle conferenze stampa o in ciò che sono diventate nel frattempo. Gli unici, purtroppo, attendibili, sono i dati dei decessi. Non quelli dei contagiati, sintomatici e non, e non quelli dei guariti, atteso che molti hanno superato la malattia senza neanche accorgersene. E ancora meno abbiamo un minimo dominio della distribuzione del fenomeno su base territoriale, regionale o provinciale e della situazione dei grandi centri urbani.

Non solo non possediamo questi dati, ma dato il tempo che si è perso e che, presumibilmente, dato il non metodo dimostrato nel gestire il problema, ancora se ne perderà altro, questi dati rischiano anche di perdere significatività ai fini gestionali. Quindi è da chiedersi sulla base di quali dati il presidente Giuseppe Conte prende le decisioni? Sulla base dei dati complessivi che compongono il totale finale? È questa la verità, la trasparenza di cui parla? E che cosa si può trarre da quei dati, se non la convinzione, o la narrativa, e la inevitabile conclusione che solo un potere più elevato, la Bce, il Mes o il Coronabond, la Ue, o nostro Signore possa salvare la nostra nazione? E, ancora in tema di credibilità, qual è quella internazionale di questo Governo?

Internamente, nelle ultime settimane, ci stiamo abituando ad una narrazione tale per cui senza l’Italia non c’è più Europa. Non parliamo dell’Europa politica o di quella sentimentale, ma di quella economica. Lo leggiamo ovunque, sulla carta stampata e sui social, lo sentiamo nei commenti in tivù, lo dicono sempre in modo più esplicito politici in corso, di mezzo e lungo corso, e redivivi in cerca di visibilità. La tecnica per cui il nemico è fuori, siamo circondati e ce l’hanno con noi, funziona sempre abbastanza bene per captare consensi, far stringere a corte, far restare uniti, censurando e bollando nel nome del disfattismo per ogni voce dissonante, ma signori ricordatevi che tutto ciò funziona solo nel breve periodo, finché non si scoprono le carte. E questo virus ha accorciato moltissimo i tempi.

La credibilità internazionale è fondamentale quando si propone di fatto una mutualizzazione del debito fra diverse nazioni o la creazione di un debito da pagare in solido, è del tutto normale che i tuoi partner guardino alla tua credibilità nel momento in cui chiedono ai propri contribuenti di garantire, seppure parzialmente, per te. E conta poco, seppure rivesta un alto valore etico e politico in casi come questi, ricordare alla Germania il condono parziale dei suoi debiti di guerra, occorre essere realistici, di questo la Germania se n’è fregata già con la Grecia, figuriamoci con noi. Di certo non possiamo aspettarci un atteggiamento di gratitudine simile a quello dell’Albania, nazione molto più povera della nostra, ma che per riconoscenza, parole del presidente Edi Rama, farà quello che può in termini di supporto sanitario pur di starci vicino. Purtroppo la credibilità internazionale dell’Italia è quella di una nazione che si è fermata totalmente e non sta aiutando i propri cittadini.

E se si è fermata totalmente, se, come da alcune proiezioni, rischia di perdere fra il 10 e il 30 per cento del proprio Pil (Ubs e Morgan Stanley -6 per cento nel primo trimestre; Goldman Sachs -11 per cento; Cerved indica la perdita fra il 275 e 600 miliardi di euro – il 30 per cento del Pil italiano – se la crisi dovesse fermarsi a maggio) come potrebbe quindi garantire un eventuale maggior debito? Non potrebbe, prendiamone atto, per questo serve un’operazione di verità, non la propagazione di illusioni di soluzioni dall’alto che tra l’altro non ci sono affatto. Occorrerebbe un ripensamento complessivo possibile, alla Mario Draghi, occorrerebbe la credibilità dello stesso personaggio. Però al momento Mario Draghi non c’è, se non a livello giornalistico. Il modello italiano viene propagandato, all’interno dei nostri confini, come se fosse un metodo vincente che viene adottato via via da tutte le nazioni e si criticano queste nazioni per aver sottovalutato il fenomeno.

Quindi la dinamica, in sequenza, sarebbe: 1, stigmatizzare gli italiani; 2, sottovalutare il problema; 3, adottare misure di contrasto non adeguate; 4. prendere atto della situazione oggettiva; 5, adottare il modello italiano. Questa narrazione, per quanto contenga degli elementi di verità (il primo fatto, ad esempio, è accaduto e non era, se non in parte, razzismo o pregiudizio nei nostri confronti, quanto piuttosto elemento di strategie volte a captare flussi turistici importanti) è sostanzialmente falsa. Il modello italiano ha avuto le stesse fasi che vengono rimproverate agli altri, senza avere i provvedimenti e la cura che altri hanno avuto nei confronti dei loro cittadini. Se ne accorgono gli italiani che guardano almeno al di là del proprio naso, fuori dai nostri confini, e vedono come alle altre nazioni gli aiuti alla popolazione arrivino saltando i cavilli burocratici.

Come arrivino immediatamente gli aiuti alle imprese, anche in forma di una tantum, ma volti ad assicurarne la riapertura, il sostentamento, in modo che il tessuto produttivo di quelle stesse nazioni non ne risulti sconvolto e, con esso, la capacità di far fronte a nuovo debito. Nel modello italiano tutto questo non c’è. Semmai c’è solo nei proclami, in una comunicazione efficace solo per captare consenso di breve periodo, ma che nel medio (che ormai equivale a poche settimane) è destinata a fare i conti con la dura realtà. C’è, nel modello italiano, il rinvio di soli quattro giorni per il versamento Iva per aziende con volume d’affari sopra i 2 milioni di euro, annunciato la sera stessa della scadenza, quando molti avevano già versato, e di un mese e mezzo per gli altri, a fronte della proroga di due anni per i controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate.

C’è che in molte parti d’Italia la stessa Agenzia delle Entrate sta continuando ad inviare cartelle esattoriali. C’è che molte banche, in assenza di provvedimenti concreti, perbacco, forse scopriremo che alle banche non bastano i proclami televisivi, chiedono il rientro ai propri clienti, in un momento in cui molti di questi si dimenano per non far morire le loro attività. C’è che tutti abbiamo ricevuto la comunicazione da parte del commercialista che prima ci avvisava dell’appuntamento col portale dell’Inps per oggi lunedì 30 marzo e il giorno dopo ci avvisavano che l’appuntamento era spostato al primo aprile, mentre il presidente Conte tutto questo ce lo ha presentato come uno sforzo di Sisifo, con tanto di ringraziamenti all’Inps per la rapidità, andiamo proprio bene. C’è che è evidente a tutti che siamo impastoiati in procedure burocratiche pazzesche che lo stesso Conte ci assicura che andranno azzerate, ma non ci dice affatto come lo si farà tutto questo e non ce lo dice per un motivo evidente a tutti.

È dura realtà, per usare le parole dello stesso presidente del Consiglio, che “per quanto riguarda le attività produttive, quelle ovviamente che abbiamo individuato come non essenziali è una misura che, allo stato, diciamo, non sappiamo ancora, è ancora troppo presto, dall’inizio della settimana inizieremo a lavorarci”, per poi assicuraci che “per noi l’obiettivo prioritario rimane sempre, sempre, la salute dei cittadini”. Si ribadisce sempre lo stesso discorso, come dire non abbiamo fatto niente, ma c’è la salute dei cittadini come priorità. Ma molti cittadini cominciano a chiedersi a chi parla Conte quando fa queste affermazioni? A quali cittadini? Ai dipendenti statali e delle aziende partecipate che hanno comunque assicurato il loro stipendio, o ai commercianti e agli autonomi che ha additato addirittura in una legge dello Stato firmata da lui come evasori fiscali?

Ai piccoli imprenditori, ormai ridotti a potenziali percettori di una miserabile elemosina e che in gran parte non saranno nemmeno in grado di riaprire la loro attività alla fine di questo periodo disastroso? Ai percettori di reddito di cittadinanza, finalmente chiamati in causa almeno dalla ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova (alla quale va il nostro plauso, ma poi si vedrà se le si darà retta), per contribuire almeno a tenere viva la catena del valore agricola, messa in crisi anch’essa dalla mancanza di braccianti? La dura realtà che, man mano, sta emergendo è che sembra di essere in mano a persone che non hanno la minima idea di come far ripartire le attività produttive, perché, oltre che per incapacità, queste probabilmente non erano affatto nei loro pensieri. Nei loro pensieri c’era addossare alla Ue o ad altri organismi comunitari il problema, visto che non esistono piani interni di rilancio.

Come mai, sono faticosi? È faticoso dividere la popolazione in cluster di persone più o meno esposte ad una probabilità di contagio? È difficile verificare quali aziende, e non importa di quali settori, possano assicurare condizioni di lavoro sicure ai propri dipendenti e quali no? È difficile capire che un artigiano, che spesso lavora da solo o con pochissimi collaboratori, in un laboratorio e che vede clienti solo occasionalmente e lo può fare in assoluta sicurezza, non rappresenta una minaccia per nessuno, ma almeno contribuisce a tenere vivo il tessuto imprenditoriale italiano? Ma Conte non ha la minima intenzione di prestare attenzione a questo tipo di ragionamenti. Per lui c’è solo la pretesa, che è uno slogan (a volte si può essere d’accordo anche con la Von Der Leyen, capita), che “l’Europa faccia il suo” e lo faccia in fretta, modificando al volo procedure e trattati internazionali, accordi e leggi degli stati appartenenti alla Ue.

Una bella pretesa da parte di chi non riesce a semplificare nemmeno mezza procedura a casa sua, a partire dagli indecenti moduli per uscire da casa. Una bella pretesa da parte di chi riesce a complicare ulteriormente il flusso dei danari che servono ai cittadini, facendolo passare attraverso i Comuni, aggiungendo ulteriore burocrazia, lungaggini e ancora un ulteriore strato di insopportabile retorica sulle sentinelle rappresentate dai sindaci italiani. Occorre ricordare al presidente del Consiglio Conte e a noi italiani, che posseggono già tutti i nostri dati, incluso l’Iban del nostro conto corrente, la procedura che scavalca la burocrazia era, ed è, a portata di mano o se preferite a portata di click, ma ai nostri burosauri questo non interessa, l’importante è che il loro stipendio arrivi puntuale, come ad esempio quello modesto di Rocco Casalino.

E poco importa se ad un mese dall’annuncio della cassa integrazione non si siano trovati modi e procedure per farla arrivare alle piccole aziende nei tempi in cui servono. Signor presidente del Consiglio, un suggerimento, prenda esempio dalla Svizzera, dal Ticino, si parla e si scrive in italiano anche lì. Veda, tramite il suo staff della comunicazione, sulla stampa svizzera in quali tempi e con quali semplici modalità i piccoli imprenditori abbiano già ricevuto i primi soldi sul conto corrente aziendale o su quello personale. presidente Conte è interessante il suo lanciarsi nell’elaborazione di nuove teorie economiche, certo non sappiamo se macro, micro o se si tratti di esoterismo spinto come, “riteniamo che questa misura (il blocco delle attività, ndr) sia anche una misura conveniente dal punto di vista economico, perché è chiaro che confidiamo che da questa sospensione così disposta delle attività economiche, soprattutto quelle non essenziali ne possa derivare una fuoriuscita dal quadro dell’emergenza quanto più rapido possibile, e quindi una piena ripresa di tutte le attività”.

Avete capito bene? Abbiamo la soluzione, non a questa crisi economica, ma a tutte: chiudiamo, perché poi è chiaro che avremo una ripresa economica! Ci sarebbe da ridere, se non stessimo parlando della nostra vita, del futuro dei nostri figli, della carne viva di un sistema produttivo, di una nazione, che è fatta di persone. Che cosa legge Conte? Quali report gli presentano? Riesce a capire in quale tunnel sta infilando l’economia dell’Italia? Riesce a capire che la propaganda che ci propina e con la quale gli suggeriscono di intortare gli italiani rappresentano un boomerang pazzesco a livello internazionale, tale da far capire alle varie Ursula von Der Leyen, Angela Merkel, Christine Lagarde, che il potere contrattuale dell’Italia è pari a zero? E che frasi ad effetto come “mi batterò fino all’ultima goccia di sudore, all’ultimo grammo di energia, per ottenere una risposta forte, vigorosa, coesa” a livello internazionale, ma fra non molto anche nazionale, sono secondi solo ai discorsi del generale Vargas, de Il dittatore dello Stato libero di Bananas? Presidente Conte, ci rivolgiamo direttamente a Lei, come se fossimo in una virtuale conferenza stampa.

Le porgiamo sette domande, alle quali vorremmo che avesse la cortesia di rispondere. Gliele riproporremo ogni giorno, in modo da ridurre la possibilità che le sfuggano, per fare chiarezza su aspetti che ci stanno a cuore e che è importante che siano chiari anche agli italiani:

1) Avendo emanato la “Delibera del Consiglio dei ministri 31 gennaio 2020”, con la quale ha “dichiarato, per 6 mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, ritiene che le azioni da Lei messe in campo nelle settimane successive siano state sufficienti, o almeno funzionali al contenimento di questa emergenza internazionale o non ha per caso deliberato come atto dovuto, sottovalutando il fenomeno stesso?

2) Perché, data l’emergenza, il fatto che i primi focolai di contagio fossero estremamente localizzati e che da più parti (nel settore medico) si stesse avvisando il Governo sulla crisi cui sarebbero inevitabilmente andate incontro le strutture sanitarie in assenza di un intervento immediato, non ha predisposto risorse e mezzi, concentrandoli sui focolai, consentendo di effettuare il massimo sforzo per cercare di circoscrivere il fenomeno in modo da renderlo gestibile e, al contempo tenere aperte la attività produttive nelle altre regioni italiane?

3) Perché, relativamente al tema ella disponibilità di mascherine, altri dispositivi di protezione individuale, ventilatori per gli ospedali, non ha proceduto all’utilizzo di strumenti persuasivi o coercitivi nei confronti di aziende produttrici, in modo che questi dispositivi e strumenti fossero messi a disposizione in tempi brevi e utili alla gestione della crisi e ha invece usato lo strumento delle gare Consip, generando ulteriori ritardi di tipo burocratico?

4) Perché non ha chiesto immediatamente alle Forze Armate di allestire in tempi brevissimi e con criteri di potenziale mobilità delle strutture, ospedali da campo per questa necessità, quando ogni italiano sa che il nostro Esercito è perfettamente in grado di operare in tal senso, visto che lo fa ordinariamente in veste di forza di pace in zone di guerra?

5) Perché non ha reso immediatamente disponibili in conto corrente risorse monetarie ai cittadini e alle imprese, sulla base di criteri semplici e facilmente verificabili posteriormente in caso di abusi, ma ha scelto procedure burocratiche tortuose, inevitabilmente destinate a generare ulteriori ritardi, sofferenze e rinunce a riaprire attività produttive alla fine di questo percorso?

6) Perché, dato l’impegno da parte della Bce, di acquistare titoli del debito italiano fino ad un importo di 220 miliardi, non ha intanto iniziato ad attingere da questa fonte, peraltro calmierata quanto ad interessi, voce enorme del nostro debito pubblico, per alleviare la situazione economica italiana, ingaggiando un duello polemico tanto sterile, quanto burocraticamente complesso e certamente lungo nei tempi, con altre istituzioni europee su fantomatici Coronabond?

7) È vero che superando la Sua vera, o presunta, iniziale ritrosia, sta fondando un proprio partito o movimento politico con cui candidarsi direttamente o sta mettendo a capo di uno già esistente?


di Alessandro Cicero