Quella sindrome cinese che passa per l’Oms e arriva in Italia

C’è forse una linea rossa, una chinese connection, che parte da Pechino, passa per l’Organizzazione mondiale della sanità, e arriva fino a Roma. La “sindrome cinese” emerge dai fatti e da alcune semplici domande a cui nessuno riesce a dare una risposta sensata: come mai i medici e gli esperti cinesi “non si sono accorti” per due mesi che i cosiddetti positivi asintomatici erano e sono molto contagiosi e diffondono il virus? È credibile che non sapessero? Se, invece, come molti pensano, essi sapevano, perché Pechino ha continuato a raccontare il contrario all’Oms e l’Oms al mondo e all’Italia? Dopo il primo già noto ritardo di oltre un mese nel rivelare lo scoppio dell’epidemia in Cina e la sequenza non aveva forse Pechino un interesse a mostrare una trasparenza e una cooperazione senza opacità e a migliorare la sua immagine nel mondo? E allora quale interesse e quale obbiettivo le autorità cinesi hanno perseguito omettendo per una seconda volta e per oltre un mese una verità che, se diffusa in tempo, avrebbe limitato notevolmente le devastazioni e il numero dei morti da coronavirus in Occidente e nel mondo?

Queste domande – che gli analisti internazionali si stanno certamente facendo – sono cruciali perché l’Oms ha basato su quel presupposto (rivelatosi poi falso) le sue indicazioni rivelatesi poi fuorvianti e decisive nell’esplosione mondiale della pandemia. Per vederci più chiaro partiamo da un fatto e da una data. Ancora il 3 marzo l’Oms, seguendo le indicazioni cinesi, scriveva sul suo sito che “solo l’1 per cento degli infetti è asintomatico”. E confermava le indicazioni precedenti diffuse a fine gennaio: fare tamponi solo ai plurisintomatici che avessero per giunta avuto contatti diretti o mediati con la Cina. Niente tamponi per gli asintomatici. Il 16 marzo la rivista scientifica Science scriveva invece: “Gli asintomatici non riconosciuti sono stati la causa del 79 per cento dei casi di infezione”. Si scopre così che l’Oms ha contribuito alla diffusione del virus nel mondo. Lo stesso 16 marzo avviene una spettacolare giravolta dell’Organizzazione mondiale della sanità che, per bocca del suo direttore, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ora invita effettuare test a tutti i contatti di una persona infetta, sintomatici e no. “Il nostro messaggio chiave è: test, test, test” – dichiara il direttore dell’Oms. Lo stesso messaggio viene da lui twittato e posto sul sito dell’Oms: “Test, test, test”. La portavoce dell’Oms dichiara in una conferenza stampa: “La nostra definizione di caso infetto include anche gli asintomatici. Dalla Cina in particolare sappiamo che il 75 per cento dei casi asintomatici in seguito hanno sviluppato dei sintomi”. È la prova che l’Oms segue pedissequamente le indicazioni cinesi. E gli analisti si chiedono: i cinesi lo hanno scoperto solo ora? E l’Oms non poteva scoprirlo da sé?

Anche il nostro rappresentante presso l’Oms, nonché dirigente dell’Istituto superiore di Sanità, nonché consulente del ministro della Salute, Walter Ricciardi che 4 settimane prima, a fine febbraio, aveva aspramente criticato le Regioni, e in particolare il Veneto, perché volevano fare più test, aderisce istantaneamente alla giravolta dell’Oms (e della Cina), retwittando il messaggio “test, test, test”. La catena appare chiara: dalla Cina le indicazioni giungono attraverso l’Oms al ministero della Salute. L’Oms che segue ciecamente quelle di Pechino e Roma segue ciecamente l’Oms. Solo insipienza? Si pone il problema e la domanda: i medici cinesi e le autorità cinesi potevano non sapere? È credibile che abbiano scoperto quella fondamentale verità solo a metà marzo? Alcuni indizi portano a rispondere: no, non è credibile, non potevano non sapere. E, quel che è più grave per le responsabilità ministeriali italiane, questi indizi sono targati Italia:

Primo indizio: In una serie di articoli pubblicati fra l’8 gennaio e la fine del mese, il sito del virologo Roberto Burioni (Medical Facts) scrive che “una parte non trascurabile degli infetti è asintomatica ma può ugualmente trasmettere il virus” e che “l’esperienza cinese suggerisce che è difficile fermare l’epidemia se non si intercettano almeno due terzi degli infetti”. Come? Con tamponi allargati alla cerchia dei contatti avuti dai positivi sintomatici. Secondo indizio: L’11 marzo il professor Andrea Crisanti, che da tempo sostiene le stesse tesi di Burioni, al termine di una fondamentale ricerca epidemiologico sul comune di Vo’, annuncia che il peso degli asintomatici sul totale è dell’ordine del 75 per cento; e che poiché gli asintomatici possono trasmettere il virus, il vero problema è individuarne il maggior numero possibile. Crisanti ha preceduto persino la rivista americana Science con una rigorosa ricerca sul campo che danno sostanza scientifica alle intuizioni di Burioni. Ma resta inascoltato: In Italia si seguono le fuorvianti indicazioni dell’Oms e questa segue le indicazioni cinesi.

Dunque se in Italia dove l’epidemia è stata scoperta (con un ritardo di settimane dovuto proprio alle fuorvianti indicazioni dell’Oms) solo il 21 febbraio non è credibile che gli epidemiologi e virologi cinesi non abbiano scoperto la stessa cosa già in gennaio e che anzi l’abbiano scoperto solo a metà marzo. La scienza, pur non essendo incontrovertibile, non è una lotteria o un gioco delle tre carte. La stessa impressione ha mostrato di avere il professor Crisanti, il quale, alla trasmissione Petrolio dichiarò: “Sono stupito e stupefatto che i cinesi non si siano resi conto dell’enormità della percentuale degli asintomatici. Prima o poi verrà chiesto ai cinesi perché non se ne sono accorti o perché non l’hanno detto al mondo. Le prime direttive dell’Oms erano fondamentalmente sbagliate e sono responsabili della situazione in cui siamo”. “Non riesco a spiegarmi – dichiarò lo stesso Crisanti al Corriere della Sera il 25 marzo – come sia stato possibile sottovalutare le dimensioni dell’emergenza, quando erano sotto gli occhi di tutti”. Lo stesso Crisanti Il 17 aprile ha dichiarato alla trasmissione de La7 Otto e 1/2 che il Veneto ha ottenuto risultati molto migliori della Lombardia perché lui, come consulente della Regione Veneto, ha “guardato i dati e non ha seguito le indicazioni del ministero e dell’Oms sui tamponi mentre la Lombardia le ha seguite”.

 Considerazioni molto simili alle nostre ha fatto il sociologo Luca Ricolfi in un editoriale sul quotidiano La Verità del 29 marzo (“Caso tamponi la storia di un errore annunciato”). Ricolfi denuncia anche le conseguenze letali dei ritardi del governo italiano a loro volta dovuti alla pedissequa e cieca fede nelle indicazioni dell’Oms: il governo di Roma quando finalmente “si è convinto a non ostacolare le Regioni che vogliono fare più test, scopre che scarseggiano i materiali per effettuarli, anche perché altri se li sono procurati prima di noi”. Riassumendo, ci si deve chiedere: se dunque le autorità cinesi non potevano non sapere, perché hanno continuato a disinformare l’Oms? Ci si può accontentare della banale spiegazione che riduce il tutto ad un “impulso-riflesso” autoritario a nascondere la verità? No, perché Pechino aveva ogni interesse a contraddire questa immagine negativa amplificatasi anche in Cina dopo i suoi primi ritardi e dopo la morte del dottor Li Wenliang. Ci deve essere dell’altro. Non si può escludere nemmeno un deliberato proposito dello stato profondo cinese di lasciare che l’epidemia si diffondesse nel mondo occidentale. Come a dire “se Sparta deve piangere, Atene non deve poter ridere”. Una tale ipotesi certo è da provare, ma non si può escludere a priori, specie in mancanza di spiegazioni alternative.

Perché poi l’Oms ha seguito ciecamente le indicazioni di Pechino? Non aveva le competenze per metterle in dubbio e verificarle come ha fatto in Italia il professor Crisanti? Certo è in questione il suo direttore generale, Tedros Adhanom Gebreyesus. Il 14 gennaio diffuse un tweet in cui affermava che le indagini preliminari condotte dai cinesi “non dimostrano la diffusione tra umani” del virus. Il dottore Li Weinliang e i virologi diu tutto il mondo non la pensavano allo stesso modo. Tra loro e Pechino l’Oms scelse Pechino. Perché? E ancora il 23 gennaio Gebreyesus si rifiutò di proclamare l’emergenza sanitaria globale (un grado di allarme sotto la pandemia globale) perché la Cina era contraria. Solo il giorno dopo, il 24 gennaio, la Cina dichiarò il coprifuoco a Wuhan. C’è di più: il 28 gennaio Gebreyesus volò a Pechino per incontrare il leader cinese Xi Jinping. Perché? Dopo l’incontro in una conferenza stampa elogiò la gestione cinese dell’epidemia e invitò il mondo a non tagliare i voli commerciali con la Cina: “Non c’è alcuna ragione per misure che interferiscano non necessariamente con viaggi e commerci internazionali” – dichiarò.

Il giorno dopo, il 30 gennaio l’Oms dichiarò l’emergenza sanitaria globale quando già l’epidemia si era diffusa in 19 paesi e tutti sapevano da tempo che lo avrebbe fatto. Gebreyesus è andato a Pechino – come pensa qualcuno – per chiedere il permesso a Xi Jinping per dichiarare l’emergenza sanitaria globale? Tutto lo lascia pensare. Ancora a metà febbraio gli “esperti” dell’Oms, reduci da un sopralluogo in Cina, elogiano Pechino per aver “dispiegato il più ambizioso agile e aggressivo sforzo di contenimento della storia”. Risultato è che Gebreyesus dichiarerà la “pandemia globale” solo l’11 marzo obbligatovi dalla diffusione e dall’avanzata del virus in più di 100 paesi. È un ritardo insostenibile che molti analisti attribuiscono alla sua dipendenza almeno psicologica da Pechino. Solo psicologica o anche strategica?

Ex ministro della Salute in Etiopia vi era stato accusato di avere nascosto e mal gestito ben tre epidemie di colera. Ciò nonostante nel maggio 2017 venne nominato Direttore generale dell’Oms, grazie al sostegno della Cina, principale partner commerciale dell’Etiopia. Dal primo giorno si oppose all’entrata di Taiwan nell’Oms in base al principio cinese dell’esistenza di una sola Cina. Ma è solo la personale dipendenza di Gebreyesus da Pechino a spiegare tutto? Difficile crederlo. E, infine, veniamo all’Italia: perché le autorità italiane hanno seguito pedissequamente le indicazioni dell’Oms (e indirettamente quelle della Cina) rifiutandosi di guardare ai fatti e alle opinioni di diversi virologi tra cui Burioni e Crisanti e persino ai risultati delle ricerche di quest’ultimo?

Non hanno forse agito proprio come il don Ferrante manzoniano che guardava alle stelle e non per le strade, deducendone che la peste non c’era? È stata solo ingenuità e burocratica pigrizia? Possibile che non si siano mai accorti dell’infondatezza delle indicazioni dell’Oms e della sua dipendenza da Pechino? Esiste forse una lobby cinese anche tra le autorità sanitarie e politiche italiane? E infine: cosa pensa il governo italiano della decisione del presidente americano Donald Trump di sospendere i finanziamenti americani all’Oms, decisione motivata proprio con il “fallimento dell’Oms nel adempiere al suo compito primario” e con la sua sfacciata “dipendenza da Pechino”? Sono tutte domande e questioni da approfondire con urgenza, senza aspettare che l’epidemia sia finita, come dicono tutti e persino i leader dell’opposizione. La questione è urgente perché potrebbe esserci un rischio persistente, annidato nelle istituzioni italiane, per la sicurezza nazionale e la salute degli italiani (oltre che per l’orientamento internazionale dell’Italia) che i giornalisti non possono ignorare e di cui il capo dello Stato è garante.

Aggiornato il 30 aprile 2020 alle ore 14:55