Il bivio

venerdì 29 maggio 2020


“Due strade divergevan nel bosco, e io, io presi la meno battuta, e di lì ogni differenza è venuta”. Lo scriveva Robert Frost, per me è un manifesto esistenziale. Il bosco, metafora della vita. Il bivio, la scelta. La strada non presa (titolo della poesia), quella che fa tutta la differenza. Di qua, la via comune, quella dei più, quella facile. Dove alla sicurezza si sposano la noia, la monotonia, l’atteso. Di là la strada meno battuta: il mistero, il fascino dell’avventura, la solitudine. Non chiedetemi nemmeno quale fu quella che presi sin dall’alba di mia vita, e del già “diverso filosofar mio” (questo invece, è Tommaso Campanella). Scelsi la libera professione, scelsi la libertà, scelsi un’esistenza inquieta perché volevo essere servo di nessuno, volevo essere libero, e m’inquietava assai di più l’idea dei mille compromessi e sotterfugi, patti con la coscienza e l’anima che avrei dovuto fare in Italia per stare dove stavano i più: quelli “furbi” che si accomodavano, in branco selvaggio accoccolato fra le braccia dello Stato, attraverso concorsi e chiamate al 99 per cento frutto dell’ingiustizia e dell’immoralità più bieche messe in campo dalla peggior politica dell’universo.

Ingiustizia che poi sarebbe divenuta sistema: prego, consultarsi le carte perugine del caso Palamara, che è solo al suo inizio e solo la punta di un immane iceberg che nasconde in unum tutti i mali oscure del Paese! Immoralità, dato che era chiaro sin da subito a chi avesse la minima infarinatura di materie storiche ed economiche, che un paese di assistiti e dipendenti statali, è la più folle delle idee, e solo immaginarla significa alla fine a pensare solo a sé stessi, in puro spregio dell’interesse collettivo e di una nazione che solo a parole si dice così di amare. Un amore non lo sfrutti: lo canti e ne hai cura! E io almeno questo lo sposso dire a testa altra: non ho mai smesso di cantarla e amarla. Parlo dell’Italia. Un’Italia ora nella “selva oscura” della sua peggior crisi dal dopoguerra, dinnanzi alla quale stanno due strade. Fino a ieri non c’erano. Poi l’Europa pare aver deciso e quindi il passo avanti fino al bivio. Ora si conosce l’entità degli aiuti all’economia dell’Ue – quantità e qualità – inclusi quelli spettanti all’Italia. Un’Italia a un bivio epocale. Come utilizzarli questi aiuti? Dove indirizzarli? Che farne? Di qua, o di là? Tertium non datur.

Voglio dire: investirli per una transizione verso e per l’industria e la produzione in ottica davvero liberale i fondi Ue, o sprecarli ancora per il business as usual dell’iperstatalismo assistenzialista dei concorsi truccati e delle partecipate, dei salvataggi di strutture decotte e improduttive, nella solita girandola degli sprechi senza fine e dei favori agli amici e agli amici degli amici, che ci condannerebbe a un ruolo marginale da qui all’eternità? Impiegarli in direzione di quello che davvero serve e che si aspetta da decenni per divenire davvero il paese che potremmo essere (scuola sviluppo, ricerca, turismo e impresa nel nome della meritocrazia)?

O ancora il sistema Palamara-sinistra-giustizialista ad personam, ora anche condito dell’iperassistenzialismo grillino (con tutto il suo portato di improvvisazione ed incapacità), con tanto di quel vero e proprio orrore della “decrescita felice” (ovvio, per gli altri! Dato che per loro non si sono tolti un centesimo di tasca)? In altre parole: il problema non è grande, è immenso, ed è tutto di stampo politico, anche se allo stato attuale delle cose non può esser altro che in termini di domanda. Una domanda che ho tanto paura sia retorica quanto non voglio essere io. No, non chiedetemelo infatti, perché quello che farei io è chiaro come la luce del sole, e ci sono la mia vita e la mia storia a dimostralo. E la storia dell’Italia prima che venisse stritolata nella morsa della partitocrazia assistenziale e le sue mille, complici diramazioni. Il vero e unico virus che ‘sta volta si dovrebbe eradicare. E c’è solo un modo di farlo: prendendo la strada mai presa!


di Andrea Aromatico