Il presidente dell’Anac denuncia: “Persi 19 miliardi in 4 mesi”

mercoledì 8 luglio 2020


Nella relazione annuale del presidente dell’Anac, Francesco Merloni, si legge che “nel primo quadrimestre del 2020 c’è stato il 24 per cento in meno di appalti con una diminuzione del 33 per cento in valore; in realtà il bilancio ha registrato un valore negativo per 18,6 miliardi”.

Un dato che, precisa il nuovo presidente, è in netta controtendenza rispetto al 2019 quando il valore complessivo degli appalti pubblici si era attestato su cifre record: 170 miliardi di euro, oltre 30 miliardi in più del 2018. Merloni nel suo intervento denuncia anche una lievitazione dei prezzi rispetto ai costi pre-Covid e precisa: “Scostamento nella qualità e quantità delle forniture rispetto alle caratteristiche richieste; mancata stipula del contratto, mancato avvio o interruzione della fornitura; ritardi rispetto ai termini di consegna; mancato possesso, da parte dell’affidatario, dei requisiti di ordine generale necessari per contrarre con la pubblica amministrazione”.

Questa analisi e questi dati penso però che non riguardino il comparto delle costruzioni ed in particolare non riguardano gli appalti di opere superiori ai 5 milioni di euro. Perché dal 2015 i dati sono davvero minimi e siccome la matematica non è una opinione “la percentuale di zero è sempre zero”. Quindi la pandemia ha già trovato un mercato fermo, un mercato bloccato da cinque anni da un virus molto più grave del Covid-19 e che è caratterizzato da un comune denominatore che ha caratterizzato ben quattro Governi: utilizzare le risorse solo in conto esercizio e non in conto capitale. Cioè, come ho ripetuto spesso nei miei blog da tre anni, si è preferito elargire in modo clientelare risorse (80 euro per salari bassi, Reddito di cittadinanza e Quota 100) e non garantire come negli anni precedenti al 2015 una soglia annuale pari a 10-12 miliardi di euro per interventi nel comparto delle infrastrutture.

Non metto assolutamente in dubbio i dati forniti dal presidente Merloni ma sto cercando di analizzare opera per opera appaltata nel 2019, sia grandi che medie e piccole opere, sia comparto edile che tecnologico, sia quello più articolato delle forniture per vedere quanto dei 170 miliardi di opere o forniture appaltate sia poi diventato realmente operativo, si sia cioè realmente trasformato in cantieri e quanto sia stato il volume degli Stati avanzamento lavori (Sal). Vorrei in realtà poter misurare quanta di quella quota di 170 miliardi abbia partecipato nella crescita del Prodotto interno lordo. Invece, come dicevo prima non credo abbia senso una comparazione tra le attività antecedenti la pandemia e a valle della stessa; insisto, almeno per il comparto delle costruzioni e in particolare di quelle che rappresentano una soglia determinante, la pandemia ha solo mantenuto la stasi di attività che caratterizzava il comparto da almeno cinque anni.

Forse sarebbe opportuno conoscere questo difficile e complesso comparto non solo nella fase delle approvazioni dei programmi, non solo nella fase di ratifica dei progetti da parte del Cipe e della Corte dei Conti, non solo nella fase di pubblicazione dei bandi di gara, non solo in quella di assegnazione dei singoli lavori, non solo nella apertura dei cantieri ma dalla erogazione del primo stato di avanzamento e dalla reale coerenza dell’opera al crono programma dei lavori iniziali. Solo in tal modo, ad esempio, l’Anac scoprirebbe che dopo cinque anni le risorse programmate nel 2014 per l’attuazione delle opere supportate dal Fondo di coesione e sviluppo dell’Unione europea sono state spese in minima parte. Infatti il quadro dei dati riportati ultimamente su vari documenti dell’Unione europea identifica due voci: “dotazione” e “certificato”, sotto la voce “dotazione” vi è il valore dello stanziamento definito nel 2014 dall’Unione europea di intesa con il nostro Paese pari a 53.239 milioni di euro, mentre sotto la voce “certificato” c’è un importo pari a 15.187, 7 milioni di euro; questo ultimo importo è relativo agli “impegni contrattualmente definiti” e non come erroneamente viene spesso riportato “impegni erogati”. Infatti, le risorse realmente spese non superano l’importo di 8 miliardi di euro. Prima della pandemia, quindi, la gestione di tali risorse è stata solo assurda e ci aspetta un futuro davvero impossibile con l’obbligo di attivare una spesa annuale, negli anni 2020, 2021, 2022 e 2023 superiore ai 9,5 miliardi di euro avendo come riferimento un passato in cui, in cinque anni, si è speso davvero, ripeto, appena 8 miliardi di euro.

L’Anac dovrebbe anche vigilare su chi non rende coerente la spesa agli impegni programmatici assunti perché, a mio avviso, questa mancata attuazione dei programmi, questa incapacità nella spesa produce sicuramente un danno all’erario in quanto il mancato utilizzo di una infrastruttura si trasforma sicuramente in un minor vantaggio per la stazione appaltante. Nel caso poi delle opere supportate da fondi comunitari il mancato rispetto delle scadenze produce addirittura la perdita dei contributi stessi. Ricordo che il Fondo di coesione e sviluppo, almeno fino ad ora, ha visto un coinvolgimento finanziario dell’Italia del 50 per cento; purtroppo negli ultimi tre anni (sempre prima della pandemia) il nostro Paese ha garantito solo il 38 per cento. In questo caso una grande responsabilità ricade nello Stato e bene avrebbe fatto l’Anac a denunciare questa incomprensibile anomalia. In realtà sarebbe bene cominciare ad inculcare nella cultura del nostro Paese che non garantire il giusto iter nell’attuazione di programmi approvati dal Governo, non rispettare i crono programmi fissati all’interno di ogni intervento infrastrutturale, distrarre anche temporaneamente delle risorse assegnate per realizzare determinate opere, si configura a tutti gli effetti come un reato, come un danno alla economia del Paese.

La pandemia ha sicuramente creato tanti danni, la pandemia ha sicuramente fatto crollare il nostro Prodotto interno lordo ma la triste abitudine a “non fare”, la triste abitudine a progettare un’opera, ad ottenere tutte le autorizzazioni in un arco temporale lungo dieci anni e a realizzare poi l’opera stessa in un anno, la preoccupante abitudine a considerare tutto questo qualcosa di “normale” anche se come ribadito dalla Confcommercio ha un costo per il Paese di oltre 70 miliardi di euro all’anno, tutto questo purtroppo fa parte di una cattiva conduzione della cosa pubblica esplosa nell’ultimo quinquennio. Forse se ha senso disporre di un organismo come l’Anac sarebbe bene almeno che tale organismo verificasse una volta per tutte perché la macchina si è fermata e chi sono i veri responsabili: i burocrati o coloro che governano il Paese. Forse scoprirebbe che una grande responsabilità è in chi, in modo particolare nell’ultimo quinquennio, ci ha governato.


di Ercole Incalza