Hong Kong Italia: se Bruxelles è la Cina

Facile dire “digitalizziamo tutto”. Sapete quale è il Paese con la Pubblica amministrazione più digitalizzata d’Europa? L’Estonia! Lì, tutti i rapporti tra cittadini e burocrati vengono sbrigati online. Tutti hanno la Pec e un codice identificativo unico nazionale: di conseguenza, le procedure e i processi amministrativi nascono già ottimizzati dalla penna del legislatore. Esattamente il contrario di quanto accade qui da noi, dove proprio a nessuno interessa l’impatto delle norme adottande sugli apparati amministrativi centrali e decentrati, conferendo così a questi ultimi poteri di vita e di morte sulla relativa interpretazione normativa, che a sua volta crea dal nulla una cascata oceanica di sub-norme regolamentari. Ed è così che le leggi appena adottate, fattrici in genere di una pletora di altri decreti applicativi e regolamenti che spesso non arrivano mai e, quindi, le rendono di fatto disapplicate in tutto o in parte (!), si sovrappongono e stridono con un’altra miriade di quelle già esistenti, generando una confusione sempre più grande essendo tutte mal scritte (verrebbe da dire appositamente!). Semplificare vuol dire in primis mettere la museruola e un bel cane da guardia a mordere le terga di sfaccendati e ignoranti legislatori, impedendo loro di fare troppi danni con i loro parti legulei sfornati in sede di drafting dagli stessi potentati amministrativi (gabinetti e uffici legislativi) che dovrebbero poi applicarli.

Disboscare l’Amazzonia, velenosa, fitta e impenetrabile dell’ingarbugliato, spinoso e gigantesco tessuto normativo di questo disastrato sistema Paese, vuol dire liberare ossigeno per cittadini e imprese, ma a una condizione: cambiare prima le teste, ovvero il modo di pensare di dirigenti pubblici e di legislatori improvvisati e ignoranti. Finché si continua a credere che la tutela di troppi diritti (privi del contrafforte di corrispondenti e seri doveri) passi attraverso la scrittura di una legge e non di una silenziosa rivoluzione etico-culturale dei cittadini, noi continueremo a incartarci nel Politically correct destinato a dar vita a populismi sempre più scatenati e a democrature illiberali sempre più verticistiche. Come potremo verificare a breve, noi italiani siamo destinati a recitare la parte di Hong Kong nei confronti dello strapotere burocratico e finanziario dei cinesi di Bruxelles che imporranno ai nostri governanti le stesse misure stringenti imposte da Pechino alla sua isola, con la fine di Un solo Paese, due sistemi. Da noi accadrà lo stesso: ci sarà un solo sistema, ovvero quello del totalitarismo dell’Euro e del potere di iper-regolazione della Commissione di Bruxelles che ci detterà regole ferree per l’erogazione degli indispensabili aiuti finanziari del Recovery Fund. Infatti, quest’ultimo rappresenta un congegno de iure condendo in cui è richiesto un significativo aumento del budget comunitario che, però, deve essere deciso all’unanimità. Pertanto, anche un piccolo Paese come l’Olanda può di fatto imporre condizioni ascendenti e stringenti per consentirne l’accesso alle cicale europee duramente colpite dal virus.

L’Estonia gode di un invidiabile Stato leggero grazie, rispettivamente: alla configurazione della sua piramide d’età (gli estoni non soffrono del nostro tasso di invecchiamento e di sterilità riproduttiva); alla densità molto bassa di popolazione estone sul proprio territorio; all’elevato grado di disciplina dei suoi cittadini. Tutte doti che all’Italia mancano da sempre. Infatti, a mio avviso, a noi servirebbe un Recovery Fund etico-morale che imponesse ai Governi come quello attuale di non praticare il gioco delle tre carte tra i miti della semplificazione e della digitalizzazione. I due concetti non sono conseguenza l’uno dell’altro pur essendo strettamente correlati, dato che la prima sottende una decisione innanzitutto politica mentre l’altra è essenzialmente tecnica. Tuttavia, una cattiva e irrazionale digitalizzazione può addirittura causare paralisi amministrativa a procedure che si intendono semplificate in astratto senza, cioè, nessuna conoscenza a priori sui processi e sulle sequenze operative reali che li contraddistinguono. Per di più, la Dea digitale necessita di una vera e propria rivoluzione organizzativa, con la riconversione sia formativa che culturale del personale pubblico destinato a gestire in remoto processi che non assomiglieranno in nulla a quelli manuali attuali, bizantini e farraginosi.

Nessuno ha idea, né di conseguenza sa quantificare, il passaggio da migliaia di tonnellate di archivi cartacei correnti delle Pubbliche amministrazioni a quelli digitali, per la formazione preliminare di quei Big Data che serviranno ai nuovi sistemi informativi per gestire in remoto e in Smart working decine di milioni di pratiche quotidiane. Servono a tal fine algoritmi molto sofisticati che operino, da un lato, su banche dati unificate in modo da eliminare, integrandole e razionalizzandole, tutte quelle oggi esistenti (e oggi rigidamente separate e compartimentate per gelosie di apparato!) nelle Amministrazioni pubbliche. Dall’altro, occorre che questa rivoluzionaria digitalizzazione sia altamente funzionale e efficiente (garantendo l’implementazione necessariamente progressiva del suo complesso sistema informativo), in grado di supportare il sistema per obiettivi-risultati da assegnare ai singoli operatori (impiegati e dirigenti), che formano la rete territoriale nazionale integrata dei milioni di lavoratori in Smart working. La Cina (e Bruxelles) saprebbero benissimo come fare a ottenere un simile risultato grazie al loro potere dirigista e coercitivo avendo, per di più, il controllo della moneta. Ma noi? Sappiamo fare piazza pulita di tutte le superfetazioni e gli infiniti interessi parassitari paralizzanti che, finora, hanno reso impossibile quella agognata rivoluzione digitale?

Aggiornato il 08 luglio 2020 alle ore 11:44