L’intervista di Occhetto a Veltroni è piena di falsità nei confronti di Craxi

mercoledì 22 luglio 2020


L’intervista rilasciata da Achille Occhetto a Walter Veltroni sul Corriere della Sera, nella parte riguardante i suoi rapporti con il Psi di Bettino Craxi, è non solo riduttiva e reticente ma per alcuni aspetti piena di falsità con qualche cattiveria. Dopo aver detto che, senza Mani pulite, il crollo del muro di Berlino avrebbe portato ad una normale modifica del vecchio quadro politico, senza ricordare che loro ritennero salutare l’inchiesta Mani pulite abbracciando la tesi giustizialista, Occhetto dice che lui era favorevole all’unità socialista. Secondo Occhetto sarebbe stato Craxi a non volerla, tanto che riferisce di un colloquio nel quale il segretario del Psi, alla sua richiesta di andare all’opposizione del governo di Giulio Andreotti, gli dice di non poterlo fare perché “se vado solo un giorno all’opposizione i miei mi fanno fuori”. Chi conosce Craxi sa bene che non era il tipo da risposte simili, poco riflessive e mal argomentate. Occhetto insiste dicendo che lui l’unità socialista la voleva, tanto è vero che aveva una intesa in questo senso con Claudio Martelli e fa riferimento al comizio di Mantova, organizzato nel settembre del 1992 dall’allora ministro di Grazia e Giustizia, dove partecipò lui e Carlo Vizzini, allora segretario del Psdi, per lanciare l’alleanza riformista per una sinistra unita.

Purtroppo, dice Occhetto, pochi giorni dopo “Martelli è azzoppato da un avviso di garanzia, forse figlio di una manovra interna volta a impedire che questo processo andasse avanti”. Insomma, Occhetto sembra avallare la tesi che Martelli riporta nel suo libro Ricordati di vivere. Scrive Martelli che Craxi nel gennaio del 1993 gli propose di fare il segretario del partito con lui presidente e, al suo rifiuto, Bettino lo avrebbe fatto coinvolgere da Silvano Larini nella vicenda del conto protezione, facendogli arrivare un avviso di garanzia per farlo fuori dalla segreteria, dal momento che la maggior parte del partito era con lui. Un’accusa infamante che Craxi non si merita. Inoltre, Martelli e Occhetto, a distanza di anni, dimostrano di non aver capito molto di quello che successe. Mani pulite non aveva lo scopo di combattere la corruzione ma la politica e Craxi fu preso di punta perché era l’architrave del sistema politico. L’obiettivo non era quello di sostituirlo con altri ma abbattere la politica. Intanto il segretario del Psi ricevette anche lui un avviso di garanzia sul conto protezione. E poi Craxi era ormai solo, senza armi, senza protezioni istituzionali e combatteva a mani nude. Tant’è vero che il famigerato dossier su alcuni scandali che Craxi presentò al gruppo alla Camera, sui cui si è favoleggiato come frutto dei servizi, non era altro che un copia incolla molto ben collazionato di articoli pubblicati da diversi quotidiani. Poi Martelli non aveva affatto la maggioranza del partito. Solo qualche settimana prima nell’assemblea nazionale al Belsito di fine novembre 1992 lui aveva preso solo il 30 per cento dei consensi rispetto al 70 per cento di Craxi.

Non ho mai saputo che Craxi avesse offerto a Martelli la segreteria, so che Craxi dopo l’avviso di garanzia aveva deciso di passare la mano e invitava i giovani a farsi avanti. La sua idea, alla quale lavorava anche Gianni De Michelis, era quella di portare al vertice la generazione di quarantenni che nel gennaio del 1993 avevano tenuto al Ripetta un convegno come alleanza riformista. Ma le cose non andarono come pensavano e allora virarono su Giorgio Benvenuto su suggerimento di Rino Formica. Quanto a Occhetto, lui non dice che proprio nella manifestazione di Mantova attaccò a testa bassa Craxi sugli scandali, esattamente come Martelli che a Genova il 12 settembre 1992 aveva preso le distanze da Craxi sulla questione morale dicendo di voler ridare lui l’onore ai socialisti. Ricordo bene il giorno che avvisai Craxi del convegno di Martelli. Inizialmente se la prese con me accusandomi di essere il solito settario che ce l’aveva con Claudio. Poi il giorno prima di Genova mi chiama e mi chiede di sapere chi andava alla manifestazione e di fargli un report preciso sui partecipanti. Mentre parlava vidi che aveva gli occhi lucidi e rimasi molto colpito perché non aveva mai visto Craxi così.

Certo vedersi attaccato da colui che considerava come suo figlio politico non era una cosa bella, soprattutto perché capiva che questo lo avrebbe reso molto debole all’esterno. Come poteva difendersi dalla accusa di essere Alì Babà a capo di una banda di ladroni quando suo figlio alzava l’indice accusatorio nei suoi confronti proprio sulla questione morale? Quanto al resto Occhetto ha torto marcio ed è in mala fede, perché Craxi dopo il crollo del muro di Berlino voleva sul serio fare come François Mitterrand in Italia e unificare la sinistra sotto la sua guida. Riteneva di aver vinto e che gli ex Pci non avessero altra strada che aderire all’unità socialista e accettarlo come leader. Fece di tutto per raggiungere questo obiettivo e aiutò in tutto e per tutto il gruppo dirigente del Pds, ma sbagliava e ci sbagliammo. Nel Marzo del 1990 alla conferenza programmatica del Psi a Rimini Massimo D’Alema e Walter Veltroni, lo stesso che intervista Occhetto, salgono sul famoso camper per incontrare Craxi e chiedergli a nome di Occhetto e di non favorire le elezioni politiche anticipate per dare loro il tempo di riorganizzarsi. In cambio avrebbero aderito al progetto di unità socialista. Nella direzione nazionale del partito del 4 ottobre 1990 Craxi fa approvare la modifica del simbolo e del nome con l’aggiunta della dizione Unità Socialista. Da Botteghe oscure però arrivano dichiarazioni molto fredde diversamente da come avevano assicurato nei giorni precedenti.

Craxi pensò che avessero bisogno di più tempo e tenne fede agli impegni presi. Non andò nel 1991 alle elezioni anticipate, nonostante la sinistra interna glie lo chiedesse, per dare tempo agli ex Pci, che nel febbraio del 1991 avevano cambiato nome, di riorganizzarsi e ed evitare che pezzi del muro gli cascassero addosso. Craxi tira diritto e spinto da Gianni De Michelis decide di portarli dentro l’Internazionale socialista proprio per costruire l’unità socialista. Ho partecipato con Gianni a diverse riunioni con gli Sherpa di Occhetto, Claudio Petruccioli e Piero Fassino, per preparare il congresso di Berlino. Ricordo che ci facevano capire che una volta entrati nell’Internazionale socialista sarebbe stato più facile per loro dire sì all’unità socialista e a Craxi leader. Ricordo anche le parole affettuose di Fassino verso Gianni che doveva smettere di dire che avendo ricevuto un avviso di garanzia era azzoppato e doveva stare in panchina. A detta di Fassino Gianni doveva stare in prima linea. Ricordo che Craxi era diffidente e mi chiese di metterli alla prova con qualche impegno forte. Alloro io proposi loro di impegnarsi, con un documento a firma congiunta, a proporre per il bureau dell’Internazionale un compagno socialista europarlamentare che aveva appena ricevuto un avviso di garanzia per finanziamento illegale.

Loro senza battere ciglio dissero di sì e sottoscrissero il documento che rendemmo pubblico. A Berlino il 14 settembre del 1992 il Pds entra nell’Internazionale socialista, portato per mano da Craxi, che non aveva ancora ricevuto il suo primo avviso di garanzia, e De Michelis. Ora si dice che era forte la pressione della Spd tedesca e che sarebbero entrati lo stesso. Non è così, chi conosce le regole sa che senza il sì del Psi il Pds non sarebbe entrato nell’Internazionale. Mal ce ne incolse. Il giorno dopo i dirigenti del Pds dimenticarono gli impegni presi e iniziarono a spararci alle spalle, con Fassino, come ha dichiarato più volte Gianni De Michelis, che iniziò a fare il giro dei partiti socialisti europei per dire loro che il Psi era finito e loro erano i nuovi interlocutori. Il Pds a quel punto sceglie la via giudiziaria e molla la strada dell’unità socialista.

Ci siamo sempre chiesi cosa fosse successo. Perché a un certo punto avevano cambiato idea. Fabio Martini scrive nel suo ultimo libro, Controvento, la vera storia di Bettino Craxi, che nel 1991 Gerardo Chiaromonte, (uno degli ex comunisti che teneva un canale diretto e costante con Craxi), andò dal segretario del Psi in via del Corso e gli disse: “Sappi che abbiamo fatto una riunione riservata a Botteghe oscure e la linea, di Giorgio Napolitano e mia, del dialogo con te è stata sconfitta ed è prevalsa la linea dell’opzione giudiziaria”. Craxi in quel momento non sa spiegarsi bene in cosa consista quella linea. Anni dopo, scrive sempre Martini ed io posso confermare, Gianni De Michelis spiegò che “nessuno ci ha badato. Non avevamo affatto capito che il Pds sapeva qualcosa di più e si stava preparando a incassare”. Loro, ma non solo, sapevano in qualche modo quello che stava per succedere e si posizionarono sulla linea giustizialista. Noi cascammo nella trappola con le mani e con i piedi. Mai potevamo pensare che usassero un’arma impropria come quella giustizialista per farci fuori e tentare di prendere il nostro posto. Sono andati al potere e sono diventati un partito di potere ma così facendo hanno ucciso la sinistra e alimentato quell’antipolitica che sta distruggendo il nostro Paese. Di questo dovrebbero discutere i leader del vecchio Pds, non di come trovare ancora giustificazioni risibili ai loro tragici errori.


di Donato Robilotta