Il primo partito è sceso al 25 per cento: colpa solo del Covid?

lunedì 28 settembre 2020


Nelle ultime recenti elezioni regionali tra i suoi candidati ha stravinto solo Luca Zaia in Veneto con percentuali altissime, tuttavia, la Lega di Matteo Salvini ha registrato una nuova battuta di arresto in termini di percentuale nazionale ed altrettanto era accaduto nelle competizioni elettorali pre-Covid dello scorso novembre, anche perché il partito non sta sfondando nel Sud Italia come forse qualcuno si aspettava. In effetti, da quando Salvini, ad agosto dell’anno scorso, ha fatto cadere il primo governo Conte di cui era vice presidente e ministro dell’Interno, pur essendo, ancora oggi, il primo partito italiano e leader della coalizione di centrodestra, la Lega ha registrato un sistematico calo di consensi politici in ogni competizione elettorale e che, numeri alla mano, fino a questo momento è costata quasi 15 punti di elettorato nell’arco temporale tra il maggio del 2019 e le elezioni regionali di qualche giorno fa.

Quindi, nonostante la Lega, a suo tempo, abbia compiuto il per nulla scontato “atto di responsabilità”, cioè, quello di uscire dalla maggioranza di governo per provare a dar vita ad una nuova compagine, meno litigiosa, che assicurasse al Paese una maggiore stabilità politica, tuttavia, questo lodevole tentativo di “lasciare la poltrona per il bene degli italiani”, almeno fino a questo momento, sembra che non sia stato adeguatamente compreso, perché le competizioni elettorali successive a tale nobile gesto hanno comportato un palese arretramento del consenso elettorale, ponendo fine ad una crescita costante nel tempo che, soprattutto grazie a Salvini, nel giro di pochi anni aveva portato la Lega dal 4 per cento al 40 per cento del gradimento elettorale nazionale, come certificato dai risultati delle elezioni europee di maggio 2019, in cui aveva sfiorato il 40 per cento. Ma se adesso la Lega è vistosamente arretrata alla soglia del 25 per cento, è evidente che qualcosa si è rotto nella relazione privilegiata che Matteo Salvini aveva abilmente intessuto con una consistente parte del corpo elettorale e le responsabilità non possano, ovviamente, essere scaricate sui cittadini, ma vanno inevitabilmente ricercate in qualche suo passo falso.

Come detto, da quando ha ritirato la delegazione leghista dal primo governo Conte, il suo partito ha smesso di crescere in modo esponenziale come avvenuto fino a poche settimane prima e ciò potrebbe dipendere proprio dal fatto che un gesto così significativo come il ritiro dell’appoggio al governo per via dei continui litigi tra Lega e M5s, poteva avere, agli occhi degli elettori, un’effettiva ratio giustificativa qualora avesse portato a casa un esito diverso, cioè, una dimostrazione di forza politica tale da consentirgli di passare dalla poltrona di vicepresidente a quella di primo ministro. Invece, come sappiamo, è accaduto qualcosa di molto diverso e, cioè, Salvini ha lasciato la doppia poltrona di vice premier e ministro dell’Interni per confluire all’opposizione e questo “arretramento” potrebbe anche non avere entusiasmato più di tanto il suo elettorato. Inoltre, da quel momento, ha commesso una serie di errori, soprattutto comunicativi, anche durante l’emergenza sanitaria acuta, che hanno sollevato numerose critiche, alcune meritate, altre palesemente strumentali. Tuttavia, pur avendo già una discreta esperienza politica, è ancora giovane e, quindi, può acquisire maggiore esperienza e rimediare agli errori, anche perché la posizione di leader della coalizione non può essere messa in discussione in quanto la Lega è il primo partito italiano per consenso elettorale anche all’interno del centrodestra.

Tuttavia, secondo alcuni importanti quotidiani nazionali pubblicati la settimana scorsa, la parziale battuta di arresto delle ultime elezioni regionali ha avuto il primo effetto di portare all’istituzione di una segreteria politica composta dai suoi più stretti collaboratori ed allargata anche ai presidenti di regione ed ai capigruppo alle Camere ed al Parlamento europeo, con cui Salvini dovrà condividere le decisioni più rilevanti, ma, su questo punto, si è già dichiarato ben felice di condividere le scelte e c’è da credergli perché si tratta di persone a lui vicinissime. Detto questo, va ribadito che, in questo Paese, come in qualunque altro Paese al mondo, è estremamente raro che qualcuno possa anche solo lontanamente pensare di rinunciare a poltrone così prestigiose come quella di ministro dell’Interno – e a molte altre importanti cariche istituzionali che indirettamente controllava perché saldamente in mano alla Lega – per cercare soluzioni diverse e garantire maggiore stabilità al Paese, per cui il gesto di Salvini merita apprezzamento in quanto l’azione del governo gialloverde era diventata sempre meno efficace per i continui scontri tra gli ex alleati che litigavano ogni momento e su questioni anche molto delicate.

Tuttavia, un politico di lungo corso avrebbe ritirato la delegazione dal governo, non un minuto prima, ma solo un minuto dopo aver avuto la matematica certezza che Conte non avesse più maggioranze alternative in parlamento, perché la politica è trasformismo per definizione ed in un campo così minato bisogna muoversi sempre con particolare prudenza. È possibile che Salvini confidasse, forse anche un po’ troppo, sulla parola di Nicola Zingaretti, il segretario del Pd, che, da subito, aveva subito dichiarato che le elezioni anticipate erano l’unica via percorribile dopo il ritiro dal governo della delegazione leghista, perché il Pd non avrebbe mai stretto alleanze con i Cinque Stelle con cui c’erano stati scontri verbali terribili, di gran lunga peggiori di quelli intercorsi tra gli ex alleati del governo gialloverde. Poi però è intervenuto Matteo Renzi che ha simpaticamente “redarguito” il suo segretario dell’epoca invitandolo a non chiudere la porta in faccia al Movimento 5 stelle perché, in questo modo, le elezioni anticipate avrebbero consegnato il Paese in mano alla coalizione di centrodestra, con la sola Lega quasi al 40 per cento dei consensi.

Ed il segretario del Pd, temendo di non avere il pieno controllo dei suoi parlamentari, soprattutto, quelli appartenenti all’ala renziana che, in quel momento, non erano nemmeno facilmente individuabili in termini di effettiva consistenza numerica, ha cambiato idea, permettendo, quindi, al presidente Sergio Mattarella di svolgere delle regolarissime consultazioni dalle quali è uscita la nuova maggioranza di governo giallorossa. E Matteo Renzi non si è lasciato sfuggire l’occasione per togliersi di dosso la museruola zingarettiana fondando “Italia Viva” a distanza di 48 ore dal varo del nuovo governo, cogliendo, in questo modo, di sorpresa, perfino, quella vecchia volpe di Giuseppe Conte che è rimasto molto perplesso da questa manovra così sfacciata, anche se Renzi, da subito, ha provveduto a rassicurarlo, precisando che non aveva nulla da temere dalla neonata “quarta gamba” della nuova alleanza di governo tra il Pd, il M5s e Leu, a cui si è subito dopo aggiunta anche “Italia Viva”.

Il Corriere di qualche giorno fa ha attribuito a Giancarlo Giorgetti una riflessione su un altro possibile motivo di disaffezione tra Salvini ed una parte del suo elettorato, consistente nella mancata creazione di rapporti privilegiati tra la Lega e l’establishment europeo che potrebbe rendere oltremodo ardua la possibilità di entrare nella sala comando di Palazzo Chigi dalla porta principale, considerando il peso che notoriamente hanno assunto i placet dell’Ue sulla stabilità politica interna agli stati membri. Inoltre, tra le cause che hanno parzialmente contribuito alla perdita di “appeal” di Salvini, c’è anche il Covid-19 che ha reso gli italiani un po’ meno sensibili alle tradizionali tematiche di centro destra che gli avevano permesso di fare il pieno di voti attraverso le giuste battaglie sulla sicurezza pubblica e sulla regolamentazione del fenomeno migratorio, dal momento che una mattina gli italiani si sono svegliati ed hanno dovuto fare i conti con “l’invasore di Wuhan”, che ha portato con se’ i problemi di ordine sanitario, economico e sociale che conosciamo ed è anche possibile che qualcuno non abbia apprezzato alcuni eccessi verbali contro il governo che ha gestito una situazione totalmente inedita dal secondo dopoguerra.

In ogni caso, se dalle elezioni regionali di qualche giorno fa la Lega è uscita un po’ ridimensionata, il Movimento 5 stelle ne è uscito quasi polverizzato nei numeri ed il pesante insuccesso ha scatenato un immediato “tutti contro tutti” con violenti scambi di accuse che lasciano intravedere il rischio di una scissione interna, confermata anche dal fatto che nessun leader del M5s si è presentato all’assemblea del 25 settembre, indetta per esaminare il magro risultato elettorale. Questa situazione non può tenere del tutto tranquillo Giuseppe Conte, soprattutto per quanto riguarda l’approvazione del Mes, anche se, alla fine, riuscirà comunque a vivacchiare, perché la posta in gioco è altissima, cioè, la sua stessa sopravvivenza politica e Conte è ormai abituato a navigare a vista, basta notare come abbia incassato, senza battere ciglio, l’invito di Nicola Zingaretti: “Adesso è il momento di pedalare” fattogli recapitare qualche giorno fa, attraverso il Corriere della Sera, subito dopo la “non sconfitta” del Pd alle regionali. Ma se lasciare il governo di un Paese per passare all’opposizione può sembrare una “follia”, tuttavia, il grandissimo filosofo tedesco Friedrich Nietzsche diceva che “E’ meglio essere folli con la propria testa che saggi con le opinioni altrui”, per cui, almeno da questo punto di vista, Matteo Salvini godrebbe del sicuro apprezzamento di uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi.


di Ferdinando Esposito