Il furto del consenso: maggioranze formali e sostanziali

Consentire significa aderire? In politica, la legittimità è tutto? Ovvero, una situazione legittima, come un Governo che abbia la maggioranza in Parlamento, è condizione necessaria e sufficiente in politica? In situazioni ordinarie, Nulla quaestio. Ma, in quelle assolutamente straordinarie, come i drammatici tempi di pandemia che stiamo vivendo, con qualche centinaio di miliardi concessi a debito (al netto, solo una piccola parte di questi, circa 45 miliardi, costituisce donazioni, sul tipo Piano Marshall), messi sulle spalle dei nostri pronipoti e dei loro discendenti diretti, è sensato pensare che a distribuirli sia un Governo parlamentare pur legittimo la cui maggioranza, però (come dimostrano le recenti consultazioni elettorali amministrative ed europee) è minoranza sostanziale nel Paese reale? È cosa politicamente etica non far ricorso a una nuova consultazione popolare, lasciando che a decidere il futuro di questo Paese, di qui al 2050, il suo modello di sviluppo, le grandi scelte sulle quali indirizzare l’enorme aiuto finanziario che ci viene oggi concesso dalla Ue (sub condicione, è bene ricordarlo) siano un Parlamento e un Governo formalmente legittimi, sebbene il primo si sia autoridotto di un terzo i propri seggi e il secondo si regga con gli spilli per paura dello spettro sovranista? È politicamente ammissibile che un tale Governo e un Parlamento zoppo costituito da nominati, scelti da mandarini di Partito o da imbarazzanti algoritmi, impegnino di qui al 2023 tutti i fondi a disposizione del Next Generation fund, arrogandosi per di più il diritto di eleggere il nuovo presidente della Repubblica, alla scadenza del mandato di Sergio Mattarella?

Un Paese sano di mente, con queste premesse, avrebbe restituito la parola agli elettori, con un atto di grande responsabilità, per chiedere loro di condividere i grandi assi programmatici e progettuali (due/tre al massimo!), sulla base degli schieramenti contrapposti, tripolari o bipolari poco importa, per impostare le politiche di rinascita economica e sociale dell’Italia da qui ai prossimi trenta anni! E non si guardi dalle parti del Quirinale per forzare la mano al presidente della Repubblica: Mattarella non può agire motu proprio, senza una crisi di governo esplicita che gli consentirebbe, attraverso consultazioni, la verifica dell’impossibilità di individuare una nuova maggioranza parlamentare, permettendogli così di azionare la previsione costituzionale dello scioglimento. L’opposizione oggi non ha nessuno strumento a sua disposizione (oltre alle piazze, rese problematiche dal distanziamento Covid), per impedire al Conte II di disporre l’imminente utilizzo di duecento miliardi di euro, destinati a soddisfare gli appetiti famelici della sua maggioranza e degli innumerevoli clientes, che oggi premono per una spartizione orizzontale, anziché verticale e selettiva. Certamente, la Ue e la Commissione vigileranno attentamente per impedire un uso assistenziale dei fondi o la loro scandalosa conversione in spese correnti. Ma nessuno mai dovrebbe rallegrarsi se fosse congelata, per responsabilità tutte italiane, la corresponsione di quei contributi fondamentali! Certamente, tornerebbe cosa graditissima agli euroburocrati e ai cittadini italiani se il nostro Paese facesse i compiti a casa che tutti si attendono da decenni, quali le riforme istituzionali a costo zero che, però, rivoluzionerebbero il sistema bloccato italiano!

Il popolo (per usare il nomignolo sprezzante con cui certi denigratori designano la gente che vota) è letteralmente schiacciato dal peso abnorme di un fardello mostruoso di norme italiche e non solo, che tutto regolano per nulla regolare. Da lì, bisognerebbe iniziare con disboscazioni massive, costruendo per le materie fondamentali agili e comprensibili testi unici. Occorre riformare a fondo in particolare la materia fiscale con la cancellazione di tutti i privilegi e la loro miriade di decontribuzioni, agevolazioni fiscali e quanto altro, per un sano approccio di proporzionalità e di giustizia fiscale che tenga conto dei redditi effettivamente goduti, al netto degli investimenti produttivi. Per non parlare della enorme mole di semplificazioni procedurali che sono assolutamente indispensabili nel campo della giustizia amministrativa, contabile e ordinaria. Si possono solo immaginare i ceri votivi che gli italiani accenderebbero per i loro eserciti di santi, se mai accadesse una cosa simile!

Un’opposizione che voglia dimostrare le sue effettive capacità di governo alternativo ha, in questo drammatico momento storico, l’obbligo di presentare e dettagliare con cifre e numeri un Grande Progetto Paese alternativo (molto meglio se bipartisan, naturalmente!), contenente misure concrete da illustrare pubblicamente ai cittadini, difendendone poi la bontà e l’adeguatezza in tutte le sedi del confronto parlamentare e istituzionale. Sta al centrodestra, cioè, proporre la sua versione di un sviluppo ideale fattibile, sensato e ragionevole che indichi le direzioni fondamentali dei nuovi investimenti pubblici e le modalità di sostegno alla produzione di reddito da parte delle imprese, anche tramite l’avvio di grandi opere che da decenni attendono di essere messe in cantiere e realizzate. Soluzioni, cioè, che sappiano parlare soprattutto alle giovani generazioni, disegnando per loro un futuro di speranza e di crescita del lavoro. Non consociativismo, quindi, ma un sano, fondamentale confronto sulle idee e sulle politiche. Un Piano per lo sviluppo da pubblicare poi con il massimo rilievo su tutti i media e i social network, in modo da raggiungere l’intera platea dei cittadini italiani.

Aggiornato il 29 settembre 2020 alle ore 11:40