Politica da Recovery, tra Rignano e Volturara Appula

A che gioco gioca Matteo Renzi? Lo yo-yo, si direbbe: Giuseppe Conte su, Giuseppe Conte giù. Ma, in realtà, come stanno le cose? Innanzitutto, occorre specificare la posta in gioco, che ha comportato il ritiro dal Governo della rappresentanza di Italia Viva, composta essenzialmente da due elementi: da un lato, le enormi risorse (per lo più in prestito, a tasso praticamente nullo e da restituire nel lungo termine) in arrivo del Recovery fund; dall’altro, la partita del controllo dell’intelligence e dei fondi necessari per l’istituzione e il funzionamento di una Agenzia, o Fondazione, sulla cybersicurezza, destinataria verosimilmente di rilevanti aliquote del Recovery per la digitalizzazione. Su entrambe le questioni, impatta negativamente il solipsismo del presidente del Consiglio che ha manovrato, fallendo (proprio a causa dell’arrembaggio renziano), per concentrare sulla sua figura il massimo dei poteri decisionali. Nel primo caso, per la gestione dei fondi europei, ha dovuto dismettere l’ipotesi di una struttura piramidale con Conte stesso al vertice e una pletora sottostante di manager cooptati dall’esterno, in modo da bypassare gli innumerevoli colli di bottiglia dell’Amministrazione pubblica italiana, mentre per il secondo aspetto ha tenuto duro sul rifiuto di assegnare a un sottosegretario la delega sui Servizi segreti, così come fece il Governo di Paolo Gentiloni.

L’affondo di Renzi su entrambi i fronti e, soprattutto, sul Recovery è rilevante sia sul piano dei contenuti, che della tattica. Oggettivamente, infatti, il suo attacco frontale è servito a mettere in luce le inaccettabili carenze del Recovery plan italiano, che collocava enormi risorse su progetti già approvati e in attesa di definitiva copertura di cassa, in modo da evitare di fare nuovo debito pubblico, mentre Renzi e parte del Partito Democratico (tra cui Paolo Gentiloni, Commissario dell’Unione europea all’Economia) ritenevano, come la maggior parte delle persone di buon senso, che il Recovery si dovesse intendere come debito buono a beneficio degli investimenti pubblici per la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, sanità territoriale compresa, da finanziare quest’ultima soprattutto con le risorse del Mes. L’impressione è che l’azione di pirateria dell’ex sindaco di Firenze (che, come nel gioco dello yo-yo, dapprima crea dal nulla il Conte-bis, poi lo costringe alle dimissioni e, infine, quasi lo resuscita con la sua dichiarazione di astensione sul voto di fiducia) si sia svolta con l’appoggio di una quinta colonna all’interno del Pd. Partito in cui molti dei dirigenti parlamentari debbono alla sua scelta la loro elezione, grazie alle famigerate liste uniche. Una sorta, insomma, di operazione-bis (rispetto a quella denominata dei “101” franchi tiratori di sinistra) che fece affondare l’elezione di Romano Prodi a presidente della Repubblica. Non si tratta, a ben vedere, di complotto ma di una semplice catena di opportunità.

Da un lato, con il defenestramento probabile di Conte, scelta allora indigesta e digerita a forza dalla sinistra e dal segretario Nicola Zingaretti più di un anno fa, si opporrebbe ai Cinque Stelle il diritto all’alternanza alla guida del Governo al fine di consolidare l’alleanza e recuperare Italia Viva, dando l’incarico a un esponente del Pd. Dall’altro, si aprirebbe con la crisi e con il nuovo incarico a una personalità proveniente dai ranghi della sinistra o indipendente (come Marta Cartabia, prima donna presidente e autenticamente super partes) la partita della nuova lista dei ministri, che potrebbe anche comprendere l’accordo sullo scorporo dell’Economia, per quanto riguarda l’individuazione della figura straordinaria di un ministro delegato alla gestione e al coordinamento delle risorse finanziare, messe a disposizione dell’Italia dal Recovery fund. L’accordo sul nuovo Governo, quindi, dovrebbe far quadrare la richiesta di Renzi in merito alla delega dell’intelligence a un sottosegretario di suo gradimento, con l’altra pretesa ancora più strategica dell’accesso al Mes e dell’utilizzo del Recovery per grandi progetti da individuare e finanziare ex novo, facendo ulteriore debito pubblico buono per gli stessi importi considerati (circa 130 miliardi). Tuttavia, se alla fine il M5S dovesse porre il veto sulla sostituzione di Conte e sull’accesso al Mes, allora Renzi darebbe scacco matto estraendo dal cilindro un Governo di salute pubblica Mario Draghi/Marta Cartabia con tutti dentro, a eccezione di M5S e, forse, Fratelli d’Italia. Per come sono messe le cose, né il Quirinale, né la maggior parte delle forze politiche sono disposte ad andare al massacro e alla falcidia di elezioni legislative anticipate, cui l’Europa sarebbe contrarissima, vista la rilevante esposizione dell’Italia sia sul versante Covid che su quello dell’aumento del debito pubblico cattivo, conseguente alla pioggia indiscriminata di sussidi e ristori che ha dissanguato le casse dello Stato, costringendolo a indebitarsi per qualcosa come 150 miliardi di euro, che peseranno come un macigno sulle future generazioni quando finirà la manna della Banca centrale europea e scadranno i termini della sospensione del Trattato sul Fiscal Compact. Ecco perché Renzi, alla fine, potrebbe spuntarla.

Aggiornato il 19 gennaio 2021 alle ore 11:47