Dal “fate presto” del Cavaliere al “fate con comodo” di Conte

Quando fu per Silvio Berlusconi nel 2011, non solo si fece schizzare ad hoc lo spread per giustificare il disarcionamento di un governo legittimo e mai sfiduciato, ma giornali, tv, gli eredi di Palmiro Togliatti sodale di Stalin, i sindacati, i radical chic e gli intellettuali con l’eskimo di cachemire, a strillare “fate presto”. Con Giuseppe Conte guarda caso c’è il contrario: nonostante il dramma del Paese, gli si permette di fare con comodo, di rimandare, di trovare le scuse per allungare il brodo in modo spudorato, per cercare qualche senatore, peones o meno, ma di certo traditore rispetto al patto con gli elettori, che consenta di arrivare al famoso 161 di maggioranza assoluta.

Eppure, parliamoci chiaro, oggi l’Italia sta molto peggio del 2011: dai fondamentali al Pil, dal debito al deficit, dagli indicatori di fiducia e di stabilità sociale, non c’è nemmeno il paragone. Ma allora, pur di cacciare Berlusconi per obbedire al solito diktat franco-tedesco con l’ok di Barack Obama, furono create le circostanze per dare buon gioco a Giorgio Napolitano di mettere Mario Monti, fedele esecutore della Unione europea e “dissanguatore” nostro. Per questo, furono venduti in fretta e furia una montagna di miliardi di titoli sovrani, con un accordo di contemporaneità bancaria, mentre la Banca centrale europea stava a guardare. Oggi, al contrario, la Bce compra i nostri titoli del debito in quantità e in continuazione, ragione per cui lo spread è basso e non crea problemi. Esattamente l’opposto di quello che successe col Cavaliere quando arrivò a circa 600 punti. Dunque, tanto per fugare i dubbi, lo spread è basso solo per questa ragione: perché se fosse per l’affidabilità, i provvedimenti, le manovre del governo Conte contro la crisi, se fosse per i fondamentali e gli indicatori del Paese sia per il Covid, sia soprattutto per l’incapacità totale dei giallorossi, altro che 600. Sarebbe in orbita.

Ecco perché appare assurdo – e al limite del costituzionale – lasciare che Conte faccia i comodi suoi per trovare qualche voltagabbana di sostegno in più al Senato. Intanto perché la stessa cosa non fu concessa al centrodestra all’indomani del voto del 2018, e poi perché la crisi del Paese è talmente esplosiva che a tirare la corda finisce che si spezza. Insomma, gli italiani che alzano la serranda sono vicini alla rivolta e mica per gioco. Infatti, non si capisce come non ci si renda conto di questo soprattutto dalle parti del Colle, che sembra tranquillo, quando di tranquillità in giro ce ne sta davvero poca. A meno che non si tratti degli statali che votano a sinistra oppure 5 Stelle e che, guarda caso, dai giallorossi sono stati coccolati e privilegiati. Altra vergogna sociale ed economica, quella di spaccare il Paese in due, a chi niente e a chi tutto. Vi sembra giusto assistere agli statali, sostenuti da un sindacato ipocrita socialmente e fuori dal mondo tecnicamente, che minacciano lo sciopero perché gli aumenti sarebbero pochi, quando nel privato c’è chi fa la fila alla Caritas, chi sta fallendo. C’è che quando finirà il blocco dei licenziamenti, salteranno centinaia di migliaia di posti, perché il governo non ha fatto niente per difendere e rilanciare l’intrapresa e si è occupato solo di assistenza inutile, e spesso vergognosa, come il reddito ai nullafacenti e delinquenti. Per non parlare di un governo che non ha nemmeno pensato di mettere mano alla revisione della spesa per rigirare lo sperpero, e il denaro che si butta al vento a decine di miliardi l’anno, a favore di chi adesso non riesce a stare a galla. Roba da matti. Anzi, col mercato dei senatori in corso, Conte ha previsto per contropartita l’aumento dei ministri, viceministri e così via, tanto perché l’Italia può permetterselo

Viene da chiedersi se il Colle condivida questo atteggiamento di sperpero in un drammatico momento, per non dire della ricerca stessa ossessiva e spudorata di consensi sparsi, privi di una storia comune, un programma comune, privi di tutto in comune se non la voglia di potere e poltrone. Altro che bene del paese, unità, solidarietà e condivisione dello sforzo e dei sacrifici a cui fa appello il Colle. Ecco perché non ci sta bene nulla di ciò a cui assistiamo. Dal tempo concesso a Conte, che avrebbe dovuto dimettersi di fronte a quello che è successo in Senato se avesse amato il Paese anziché sé stesso e basta. Avrebbe dovuto prendere atto che la sua stagione è finita, è stata un fallimento, che l’Italia giallorossa è peggio di quella gialloverde e che, soprattutto, entrambe le ha portate al fallimento lui. Cosa aggiungere a una catastrofe del genere. Vogliamo ricordare che siamo il Paese più indietro, peggio della Grecia, che sui vaccini è un caos, sulla scuola e sulle chiusure idem. Sul Recovery siamo in ritardo e in confusione: ci sono 50 milioni di cartelle pronte a partire, per dove non si sa perché non ci saranno i soldi per pagarle e scateneranno solo la rivolta. Il cashback è stato un flop, come i bonus, i navigator, i ristori. La Costituzione è stata forzata coi Dpcm, che sono stati bruciati 200 miliardi in cambio di un Pil che è peggiorato anziché il contrario.

Potremmo continuare nell’elenco negativo di un governo che non avrebbe dovuto nascere, perché era noto che sarebbe andata così. Non c’è sorpresa e non c’è scusa: c’è solo la rabbia dell’attesa, del tempo perso, della presa in giro per 60 milioni di persone in cambio di posti, di potere e di poltrone. Evviva l’Italia libera, le libere elezioni, la democrazia, l’onestà intellettuale, il pluralismo elettorale. Evviva l’Italia antifascista e sarebbe giusto anche anticomunista, visto che 100 milioni nel mondo di morti, gulag, torture, foibe, triangolo dell’Emilia, carri armati, brigatismo, muri di Berlino, rivolte di Hong Kong, piazza Tienanmen, Praga, carceri per i dissidenti, Siberia, Andrej Vyšinskij e la Lubianka, che Togliatti vice di Stalin ben conosceva e approvava, più che da festeggiare sono da ripudiare con sdegno e spregio. Per sempre.

Aggiornato il 25 gennaio 2021 alle ore 09:53