Il 3 maggio, a Quarta Repubblica, su Rete 4, Nicola Porro ha intervistato Filippo Patroni Griffi, presidente del Consiglio di Stato italiano, già ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione nel governo Monti e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri nel governo Letta.

L’intervista ha preso le mosse dal controverso dibattito sulla legittimità costituzionale dei Dpcm (atti monocratici del Presidente del Consiglio dei ministri), che erano stati emanati per le necessitate limitazioni di varie libertà fondamentali nella prima fase pandemica, prima appunto che si procedesse con il diverso strumento giuridico del decreto-legge, la cui disciplina costituzionale prevede invece il passaggio postumo del testo normativo governativo dalle Camere. Durante l’intervista si è poi parlato del riparto di competenze tra Stato e Regioni, ma anche del principio costituzionale di sussidiarietà nella gestione amministrativa della Cosa pubblica. Il principio di sussidiarietà cosiddetta verticale, magistralmente spiegato con chiarezza e semplicità dal presidente Patroni Griffi, lo troviamo scolpito in Costituzione nel primo comma dell’articolo 118. Quest’ultimo sancisce che: “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurare l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.

Diverso, ma sistemicamente complementare nella ratio gestionale ed evolutiva, è il principio di sussidiarietà cosiddetta orizzontale di cui al quarto comma dell’articolo 118 della Costituzione, il quale statuisce che Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. A proposito di quest’ultimo principio, è possibile fare alcune considerazioni, ultronee, di carattere civico-politico nonché sistematico, e non soltanto giuridico.

Il principio di sussidiarietà orizzontale di cui al quarto comma dell’articolo 118 della Costituzione, ove approfondito nonché capillarizzato attraverso una legislazione ordinaria e secondaria di dettaglio, potrebbe rappresentare un vero e proprio modello socio-economico di sviluppo, nonché un paradigma socio-liberale dinamico e progressivo. Esso potrebbe edificare una terza via sovrastrutturale, alternativa all’ottocentesco laissez-faire privo di Enti pubblici vigili e garanti dei diritti dei privati, da un lato, ed alternativa al social-corporativismo novecentesco che assorbe i diritti impresari degli individui, dall’altro lato.

Gli individui, a rigor di logica empirica, è bene che restino sempre liberi, nelle proprie identità economiche e nelle proprie vie sociali di sviluppo. L’articolo 118, comma 4 della Costituzione, tra l’altro, riferendosi ai “cittadini, singoli e associati”, riprende la dizione costituzionale presente nel fondamentalissimo articolo 2 della medesima Carta costituzionale, da cui si trae il cardine della solidarietà. Nell’articolo 2 viene infatti sancito il riconoscimento – e con esso la garanzia – dei diritti inviolabili dell’uomo, “sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Un altro, ultimo appunto può essere posto in rilievo, sul quarto comma dell’articolo 118: quest’ultimo menziona il carattere “generale” – e non soltanto pubblico – dell’interesse sotteso alle attività svolgibili autonomamente dai privati, singoli ed associati. La Repubblica favorisce una crescita generale, omnicomprensiva, e non soltanto pubblica o privata.

Ritorniamo però all’incalzante intervista di Porro a Quarta Repubblica, e alle autorevoli parole del Presidente del Consiglio di Stato. Patroni Griffi ha sostenuto che “le democrazie mature, quelle che io chiamerei le democrazie amministrative, cioè le democrazie che si occupano dei bisogni quotidiani della gente, devono avere un apparato amministrativo forte, preparato e stabile. A un certo punto però c’è il problema del rapporto con la politica. In un mondo ideale i tecnici servono ad informare i politici, a dare loro il sapere tecnico”. Ha quindi continuato dicendo che poi “i politici devono eseguire le scelte politiche, la scelta spetta al politico”, e che “se il politico si mette a fare il dirigente, l’amministratore, oppure se il tecnico si mette a fare il politico, si va in cortocircuito”.

Nicola Porro ha sottolineato che quando il politico è debole l’Amministrazione conta tanto, aggiungendo che questa situazione si è verificata nella storia recente. Il presidente ha risposto che il problema si pone anche quando l’Amministrazione è debole. Patroni Griffi ha infatti specificato che “ci vuole l’equilibrio giusto, perché se l’Amministrazione è debole e il politico è forte, il politico si ingerisce nell’Amministrazione e non è una cosa buona”, e che “se invece l’Amministrazione è forte e anche il politico è forte, la dialettica che si instaura tra le due componenti fa funzionare meglio la macchina amministrativa dello Stato, perché stiamo parlando di politici preposti ai ministeri, stiamo parlando del governo”.

Il 3 maggio Porro, con le sue domande e il suo autorevole ospite, ha dato l’opportunità ai cittadini d’informarsi, ma anche di formarsi, per corroborare – ognuno con la propria sensibilità civica o con le proprie esperienze di vita e di studio – le proprie chiavi di lettura sul complesso divenire della cosa pubblica. Dalle chiare e sagge risposte del presidente Filippo Patroni Griffi il cittadino-telespettatore ha potuto apprendere quanto siano importanti gli equilibri nella macchina dello Stato liberale, tra pesi e contrappesi istituzionali.

Dalle parole del presidente possiamo trarre un insegnamento importante, che durante gli anni ’10 di questo nuovo secolo il senso comune ha più volte dimenticato: la forza della politica e delle Amministrazioni si basa (anche) sulla competenza. L’equilibrio tra politica e Amministrazione potrà risultare di sana e robusta costituzione, soltanto se esso sarà attraversato da componenti dialettiche forti nella competenza, tra professionalismo e umanismo, senza retorica, senza populismo. Non sono più – non sono mai – i tempi in cui possiamo rimanere addormentati davanti ai nuovi giacobinismi, che decostituzionalizzano e depoliticizzano la Repubblica d’Italia.

Aggiornato il 05 maggio 2021 alle ore 09:46