Individui al lavoro: più sociali dei social di Fedez

Lavoratore, chi si occupa di te quando quasi tutti si occupano di parlare per lo più – e con maggior enfasi – di tematiche che strappano like? Lavoratrice, sia ogni giorno il tuo primo maggio, quale eco più primaverile del tuo otto marzo di lotte, sulle piazze e nei governi! Ma rispettiamo le tradizioni: parlando di lavoro, dentro ed oltre le quotidianità, prendiamo un primo maggio tematico, Festa dei Lavoratori.

Prendiamo l’ultimo primo maggio: a dire il vero nel 2021 non ve ne è stato uno qualsiasi, per via della pandemia ancora in corso e delle restrizioni ad oltranza. Più che altro vi è stato un primo maggio qualunquista, reso tale dai narcisismi dei big della rete. “Non fa niente”, siamo abituati a tutto ciò, ormai, nell’era della politica divenuta spettacolatria. Prendiamo un palco divergente di un ideale concertone, dedicato al lavoro e ai lavoratori. Poi scegliamo di rompere gli schemi, perché altrimenti che concerto alternativo all’esistente tragico è?

Rompendo gli schemi sulla questione lavorista, si potrebbe discutere del lavoratore-persona, quello in carne, cervello e ossa: si potrebbe parlare della lavoratrice-donna, del lavoratore-uomo, del precariato, dei diritti umanisti garantiti da una bellissima nonché inattuata Costituzione. Mancherebbe ancora qualcosa, però, per uscire dal già sentito. Mancherebbe prendere la questione lavorista per i capelli del proprio verismo: serve colmare i vuoti lasciati dai sindacalismi che non ci sono più. Serve demistificare ogni organicismo che ancora illude le labili classi sociali d’essere organizzate oppure organizzabili contro qualcuno o qualcosa, nella new Net-Age del capitalismo; occorre farlo senza creare nuove, ormai inutili maniere di classe.

Potrebbe così, in positivo, avviarsi una divergente stagione sociale di vertenze individualiste ma non egoiste, una stagione in cui ogni diritto riesca ad abitare la condizione esistenziale nonché lavorativa di ciascuna persona, donna e uomo, ognuno con i propri bisogni, ognuno capace di trattare e contrattare con la domanda di lavoro e con le piste impresarie che potrebbero sorgere. Una stagione in cui il diritto possa essere abitato dall’individuo, senza che quest’ultimo venga assorbito da consorterie o da altri e diversi Enti ed Enticciuoli, purtroppo deviabili nella propria carica rappresentativa. Una stagione in cui le associazioni intensifichino gli strumenti per poter fare lavoro, e non solo per poter essere in posa tra le fila di una classe sociale di forti, o tra le schiere di una classe di deboli. La realtà e non soltanto il concetto di classe sociale: oggi, è labile e più sfilacciata che mai. Le ricchezze del sindacalismo novecentesco non ci sono più; esse hanno dato tanto, non riescono a dare altrettanto. Il futuro si può evolutivamente cambiare cambiandosi, senza arenarsi in anacronismi.

Un cantiere di lavori socio-individualisti, nel mondo del lavoro, potrebbe contribuire a svecchierebbe i sindacalismi organicisti delle classi un tempo organizzate, classi al cui interno le persone sono poco più che numeri, quando ancora ci sono. Far respirare la persona nella sua individualità bisognosa nonché edificatrice di socialità: un obiettivo nobile da non dismettere mai. Non più “proletari di tutti i Paesi, unitevi”. Oggi verrebbe da stringere e gridare un verbo nuovo: ego faber societas sum. L’io è ciò che di più democratico potrebbe sussistere: l’io rispecchia il tempo e le cose della vita, con la sua irripetibilità e la sua unicità, caratteristiche che invece non riescono a rappresentare empiricamente una classe sociale organizzata.

Senza pretese e senza offese, l’io riguarda tutti, nessuno escluso (ognuno ne ha uno, e quelli con la faccia da collettivo ce l’hanno spesso più fagocitante di quelli con la faccia liberal-chic, salvo eccezioni e macchiette varie). Queste rinnovazioni liberal-personologiche potrebbero apparire prima facie un po’ altisonanti, ma in realtà esse, proprio per la propria radice liberal-popolare, si terrebbero ben lontane dal tingersi con le vernici palingenetiche ed escatologiche con cui invece i sub-marxismi si tingevano il volto. Con queste rinnovazioni liberal-popolari sulla persona, libera da classi e da stratificazioni organiche di classe, potremmo salire su un palco di un ideale primo maggio senza retoriche. E gridare ancor più forte, nella Repubblica d’Italia, il nuovo senso ermeneutico ed applicativo dell’articolo 4 della Costituzione, l’articolo principe sul lavoro.

Ai sensi dell’articolo 4, infatti, la Repubblica italiana riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Il costituente storico ha infatti sancito che ogni cittadino ha il dovere di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società, secondo le proprie possibilità e la propria scelta. L’uguaglianza insita nell’espressione “ogni cittadino”, così, può essere letta attraverso una lente individualista che valorizza l’autodeterminazione. Il progresso materiale e spirituale della società, e quindi il progresso dell’insieme, si misura sulle possibilità e sulle scelte di ciascun individuo. Dal concetto costituzionale di progresso traspare un auto-determinazionismo calibrato da un immancabile realismo: il costituente ha infatti considerato tanto la scelta e quindi la volontà individuale, quanto le possibilità concrete di realizzare ciò che gli individui desiderano.

In un’ottica liberale, lo Stato di diritto costituzionale non assorbe e non piega l’individuo in un astratto egualitarismo organicistico. Il programma costituzionale della lotta da parte della Repubblica contro l’emarginazione sociale, economica, culturale e giuridica è un programma realista, progressivo, personologico. L’individualismo con cui possiamo leggere le vertenze e le prescrizioni solenni della Costituzione è un individualismo sociale, in contrapposizione rispetto alle esperienze corporative, organiciste e illiberali del fascismo. Al contempo, l’ispirazione individualista e personologica all’interno della Costituzione consente agli interpreti di leggere il principio di solidarietà in chiave liberale, e non collettivista o livellatrice.

L’articolo 36 della Costituzione si riferisce al “lavoratore”, utilizzando il singolare; esso non si riferisce ai lavoratori intesi come gruppo di individui non distinguibili singolarmente. Nella uguaglianza davanti alla legge, ciascun lavoratore, ciascun individuo è titolare di diritti in quanto persona e non in quanto particella assorbita in un gruppo corporativo, o in un insieme di gruppi corporativi retti da uno Stato onnipresente. L’articolo 36, quindi, sancisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro, e in ogni caso ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e al suo nucleo familiare un’esistenza libera e dignitosa.

Quando vogliamo ritornare ad occuparci di lavoro? Il lavoro riguarda tutti in quanto coinvolge ciascuno, e la discriminazione più pungente degli attuali tempi è l’aver dequotato le azioni critiche, all’interno della grande dialettica politica. Meno retorica, meno riti, più Italia: più riformismo di scala.

Aggiornato il 18 maggio 2021 alle ore 11:23