Capitolare necesse est

Chi lamenta il crollo del bon ton, il degrado dei costumi, la scomparsa dell’educazione, si consoli con la campagna elettorale capitolina: tutti candidati gentiluomini o gentildonne. Il must è suicidarsi, polverizzare i vantaggi acquisiti aiutando gli avversari i quali, cavallerescamente, ricambiano. A pochi giorni dal voto è opportuno congratularsi per lo stile e ricordare i segreti che avvicinano al baratro ognuno dei riottosi, allontanando il rischio di essere eletti.

Disertare i confronti con gli altri, arrivare in ritardo quando il tuo sponsor è puntualissimo, tentennare sull’ubicazione del tuo stesso programma, riunire quattro amici degli amici al bar e parlare cinque minuti in burocratese soft a gente che ti voterà comunque. È il metodo di Enrico Michetti, favorito in quanto rappresentante di quel centrodestra che da anni non governa e che, perciò, non ha fatto danni. Gentiluomo di altri tempi, uomo di cui fidarsi, crede però nei sondaggi al punto di attendere che gli recapitino la nomina a casa via Dhl. Oppure gliela portino i suoi personaggi-immagine, Pippo Franco e Manuela Villa.

Roberto Gualtieri, non disponendo di una lira neroniana, si esibisce con la chitarra sul Ponte della musica. E questo è il suo apice, perché la sua massima stoccata è risolvere ironicamente il problema dei rifiuti suggerendo di usare le strade di Roma, trasformate in discarica dal sindaco precedente. Inventa “la città dei quindici minuti”, proponendo tutti i servizi a due passi o in bicicletta, ignorando forse l’esistenza di qualcuno che abita a Torbella, lavora al Flaminio e preferirebbe un mezzo pubblico decente che gli eviti quaranta chilometri a piedi.

Molto sociale è Carlo Calenda, che negli slogan snobba i partiti (chissà perché?) e parla di case, co-abitazioni e tutto quello che può rendere nobile almeno il pensiero e l’intento di uno che, salvo miracoli, non ballotterà. In tutto ciò, essere il pupillo del prelibatista Castroni non ci azzecca granché.

Chi commette meno errori è l’altra sballottata secondo i pronostici: Virginia sa che non sopravviverà e non fa nulla per tenersi parte di quei voti che ebbe da chi non la conosceva e poi si pentì. Ora sembra che le basti il suo zoccolo duro, con cui usa le logiche dei social, che ignorano la memoria. E con finta ingenuità asfalta le strade negli ultimi giorni di regno, dopo che per cinque anni non si poteva girare se non su un fuoristrada. Punta dunque sul bitume dell’ultim’ora, ben sapendo che i suoi fan continueranno a beatificarla, mentre tutti gli altri le restituiranno quell’immondizia che per mezzo decennio ha sparso sulla città, eletta nei giorni scorsi da Time Out la più sporca del mondo.

Ma lei insiste, e, applaudita dalle sue giovani marmotte si vanta di alcuni chilometri di pista ciclabile che avvicinano la nostra Capitale alle metropoli più progredite del Nord-Europa. Peccato che queste abbiano, a differenza di Roma, un trasporto pubblico impeccabile, e la bicicletta sia sorrisi, non spostamenti seri. Dopo cinque anni non smette di scaricare le colpe a chi l’ha preceduta. E sta pensando a qualcosa da rinfacciare pure al mitico sindaco Ernesto Nathan, morto esattamente un secolo fa.

Aggiornato il 23 settembre 2021 alle ore 10:20