Il flop (annunciato) del centrodestra

Si sono concluse le elezioni amministrative, che hanno visto le principali città italiane recarsi al voto per eleggere i nuovi sindaci. Il centrosinistra si aggiudica Milano, Bologna e Napoli al primo turno. Nel capoluogo lombardo è praticamente certa la vittoria del sindaco uscente Giuseppe Sala, che si attesterebbe al cinquantotto percento delle preferenze, contro il trenta percento dello sfidante Luca Bernardo. A Bologna, il candidato del centrosinistra, Matteo Lepore, raggiunge il sessantadue percento dei suffragi contro l’avversario di centrodestra, Fabio Battistini, che rimane fermo al ventotto percento. A Napoli, Gaetano Manfredi, sostenuto sia dal Partito democratico che dal Movimento cinque stelle, si afferma anch’esso al primo turno, col sessantatré percento, sul rivale Catello Maresca, che ottiene uno scarno ventidue percento. A Roma, proprio come a Torino, si andrà al ballottaggio tra i candidati del centrodestra e del centrosinistra.

Nella Capitale, i due principali sfidanti, Enrico Michetti per il centrodestra e Roberto Gualtieri per il centrosinistra, ottengono rispettivamente il ventotto percento e il ventiquattro percento dei suffragi. La vera sorpresa dell’Urbe è però Carlo Calenda, che con la sua lista “Calenda Sindaco” si classifica al terzo posto. Arriva quarta la sindaca uscente, la pentastellata Virigina Raggi. Calenda ha parlato di un risultato entusiasmante e ha già detto che darà indicazioni di voto ai suoi elettori nei prossimi giorni, a ridosso del ballottaggio, pur avendo già chiarito di non avere alcuna intenzione di collaborare o di entrare a far parte della squadra di Michetti, giudicato privo di esperienza, di spessore e di proposte dal leader di Azione. A Torino è in vantaggio il candidato del centrosinistra Stefano Lorusso contro il quaranta percento di Paolo Damilano, esponente del centrodestra. Invece, a Trieste si classifica al primo posto il candidato sindaco uscente, esponente del centrodestra, Roberto Dipiazza, contro il rivale di centrosinistra, Francesco Russo. In Calabria, è conclamata la vittoria del forzista Roberto Occhiuto con oltre il cinquantaquattro per cento dei voti, con la quale asfalta gli sfidanti Amalia Cecilia Bruni (centrosinistra) e Luigi De Magistris.

Complessivamente, sono tre i dati che emergono da questa tornata elettorale. In primo luogo, l’affluenza in calo rispetto all’ultima chiamata alle urne, che a sua volta è segno del fatto che gli italiani sono sempre meno fiduciosi nei riguardi della politica. In secondo luogo, il crollo del centrodestra, che non solo non ha vinto, ma non è stato neanche in grado di essere competitivo coi suoi candidati e le sue proposte. Da ultimo, la sostanziale scomparsa dei cinque stelle, che non arrivano al ballottaggio in nessuna delle città al voto e che escono da questa tornata elettorale con percentuali sotto al cinque percento, eccezion fatta per Roma.

Il secondo punto è quello più interessante, ed è correlato agli altri due. Subito dopo le prime proiezioni, il leader della Lega Matteo Salvini, commentando i primi risultati, ha accusato del fiasco elettorale la tardività con cui si sono scelti i candidati sindaco, l’aver puntato sui “civici” e l’elevato livello di astensionismo: come a dire che, se ci si fosse dati una mossa prima e se tutti fossero andati a votare (magari dei candidati politici), il centrodestra avrebbe vinto. Tuttavia, l’astensionismo riguarda, storicamente, proprio gli elettori di centrodestra, i quali, se scelgono di non votare, evidentemente, è perché la loro area politica di riferimento non riesce a proporre loro idee e candidati capaci di destare il loro interesse e il loro desiderio di partecipare. Evidentemente, se a destra si vota poco, il problema è l’offerta politica. Forse gli elettori di centrodestra non vogliono candidati improvvisati, sostanzialmente degli “estratti a sorte”. Forse l’astensionismo è segno – che un attento osservatore politico dovrebbe essere in grado di cogliere – di un profondo malessere.

Forse è, in un certo senso, la “rivalsa” di quell’Italia che è si di destra, ma che intende l’essere di destra in maniera molto diversa da come lo intendono i leader, i dirigenti e i militanti. La destra che gli italiani vogliono non è quella dei nostalgici, delle battute da bar, delle “marcette”, delle soluzioni semplicistiche, degli slogan, del qualunquismo e, in fin dei conti, dell’ipocrisia. La destra che italiani vogliono è quella della competenza, della serietà, delle proposte concrete e ragionate, della compostezza, dell’ordine nella libertà. Una destra liberale e istituzionale, insomma. Se gli elettori di centrodestra si astengono, forse è perché non ci sono proposte credibili da parte di quella famiglia politica. Quanto poi alla tardività con cui sono stati scelti i candidati sindaco, bisogna dire che è davvero patetica come scusa: quei candidati avrebbero perso comunque, anche se li avessero scelti con un anno di anticipo. Il problema era il loro essere sconosciuti, ma soprattutto la loro mancanza di carisma e di visione.

Non c’entra nulla nemmeno il fatto che fossero candidati civici: civici o politici, i candidati devono avere proposte, essere credibili e possedere le necessarie qualità. Proprio quello che ai vari Bernardo, Michetti e Maresca manca. Ancor meno hanno influito i recenti scandali che hanno visto il “guru” della comunicazione della Lega, Luca Morisi, coinvolto in un brutto affare a base di droga ed escort rumeni, e la cosiddetta “lobby nera” dentro Fratelli d’Italia, guidata dall’europarlamentare Carlo Fidanza. Alcuni trovano curioso che certe vicende vengano puntualmente fuori a ridosso delle consultazioni elettorali: tranquillizzatevi pure, perché non c’è alcun complotto ordito ai danni del centrodestra, solo la maggior attenzione dei giornalisti e l’aumentato livello di curiosità da parte dell’opinione pubblica in tempo di elezioni.

Negli Stati Uniti, è del tutto normale che si vada a scavare nella vita dei candidati alla presidenza e in quella della loro cerchia durante la campagna elettorale. Perché non dovrebbe esserlo altrettanto in Italia? Certo, colpisce negativamente l’ipocrisia nel caso Morisi: ipocrisia da parte di un partito – la Lega – che, di tanto in tanto (quando conviene la virtù) strizza l’occhio all’integralismo religioso e i cui dirigenti, poi, gozzovigliano con droga e ragazzi di malaffare: meglio sarebbe – per una forza conservatrice, quale la Lega aspira ad essere – difendere la famiglia in tutte le sue sfumature (inclusa quella omoaffettiva) e contrastare, in maniera coerente, droga e prostituzione in quanto minacce alla famiglia stessa.

Nel caso della “lobby nera”, invece, colpisce l’incapacità di un partito – Fratelli d’Italia – di guardare oltre e di rompere con un retaggio oscuro e deplorevole come quello fascista. In un moderno partito di destra non dovrebbe essere concesso alcuno spazio a quel tipo di mentalità o di esperienza, né ci si dovrebbe rifugiare in uno sgangherato e insensato revisionismo. Da un moderno partito di destra ci si aspetterebbe una condanna chiara, decisa e senza mezzi termini di qualunque regime che calpesti o abbia calpestato la libertà e i diritti individuali. A questo proposito, colpisce negativamente Giorgia Meloni, che nega una sconfitta fin troppo evidente, sostenendo che la sinistra ha vinto nelle sue roccaforti e che si debba aspettare i ballottaggi per decretarne il trionfo.

Come se ci fosse una speranza, come se i voti dei grillini, piuttosto che quelli dei “calendiani” a Roma, potessero andare a ingrossare i numeri dei candidati di centrodestra. Pura illusione da parte di chi, chiaramente, non sa perdere e che non è capace di vedere nella sconfitta un’occasione per fare autocritica, capire dove si è sbagliato, riformarsi e cercare di fare meglio la prossima volta. A patto, naturalmente, che si riesca a mettere da parte l’orgoglio, col quale invece la Meloni sembra avere dei seri problemi. Non meno surreali le reazioni dei maggiorenti di Forza Italia, a partire da Antonio Tajani. Il fatto che il nuovo governatore della Calabria sia un berlusconiano non è un motivo per festeggiare: anche la povera Jole Santelli lo era, dunque si tratta di un dato riconfermato. Per il resto, le percentuali ottenute da Forza Italia sono davvero risibili. Ergo, c’è poco da stare allegri e molto da lavorare.

Né è confortante la scomparsa dei cinque stelle: i loro voti sono semplicemente tornati alla sinistra radicale e alla destra antisistema dalla quale provenivano, e un partito nato rivoluzionario e diventato parte del sistema che sosteneva di voler combattere, ha semplicemente perso la sua ragion d’essere nel momento in cui ha perso la sua identità. Complessivamente, si può dire che queste elezioni segnano la sconfitta della destra nazionalista, radicale e qualunquista, che continuerà a perdere fin quando si ostinerà ad essere qualcosa che i suoi stessi elettori non vogliono che sia e fin quando continuerà a tenere un atteggiamento estremista, anti-sistema, “casinista” e, fondamentalmente, adolescenziale. Questo tipo di destra non convince e non vince. Sta ai leader cogliere i “segni delle urne” e agire di conseguenza, se ne sono capaci.

Aggiornato il 05 ottobre 2021 alle ore 11:58